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Leonora addio

Regia di Paolo Taviani vedi scheda film

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La recensione su Leonora addio

di FilmTv Rivista
8 stelle

Il primo lavoro in solitaria di Paolo Taviani racconta il viaggio delle ceneri di Pirandello in un moderno film in costume di magistrale leggerezza

“Il dolce della gloria non può compensare l’amaro di quanto è costata”, commenta la voce off di Roberto Herlitzka, adagiata su immagini b&n di repertorio che mostrano il re di Svezia consegnare a Luigi Pirandello, in lingua italiana, il premio Nobel 1934.
Ci fidiamo di questa voce. Lo sguardo di Pirandello il suo pensiero sensibile ci condurrà nel fuori scena e ci spiegherà il fuori campo storico di un moderno film in costume. Moderno perché autentica le immagini, perfino digitali, con leggerezza calviniana.
Il film inizia tra nature morte di Morandi decolorate da Simone Zampagni (Cesare deve morire), ambienti vuoti a luci bianche assolute su letti di morte (Lynch?), estremi e inaciditi addii familiari, effetti speciali eccentrici, borbottio di gerarchi nell’ombra, la cremazione, col fuoco che ritrova colore.
Siamo nel 1936, la morte del grande scrittore, iscritto al partito fascista dal 1924, ma non strumentalizzabile.
Le ceneri di Pirandello conservate al Verano, nel 1946 andranno ad Agrigento in treno, non senza surreali accidenti, per i funerali solenni. Giganteggia Fabrizio Ferracane, nel ruolo dell’archeologo incaricato del trasporto, perfetto, per tempi e intensità, nei duetti con le sue spalle: gli arabeschi di Nicola Piovani, o i superstiziosi siciliani; i soldati reduci dal fronte e in debito di erotismo o l’ ingombrante goffagine dei liberatori americani, a dimostrazione che il cinema penetra il lato opaco delle cose, invisibile al naturalismo.
Quelle ceneri saranno infine chiuse in una piccola bara bianca (cenno a una recente pandemia che esaurì le bare adulte?) per scavalcare l’imbarazzo del clero (magnifico il monologare muto di monsignor Bigagli) e tra l’incomprensione dei bambini (“ma c’è un nano lì dentro?”) e il tripudio mesto di attori e studenti. E tumulate, infine, nel 1962, dentro una roccia megalitica, sotto un amato albero.
È questa la prima parte di Leonora addio! Frammenti di requiem, melodie oblique o caldi fox-trot di Piovani colloquiano diegeticamente con la vicenda o dialogano col found footage, macerie rifecondate, sequenze di eccidi e vendette (la fucilazione del questore Caruso) dai capolavori amati-odiati del neorealismo, come Carlo Lizzani-Don Camillo giustiziato in Il sole sorge ancora.
La seconda parte, a colori, croma intenso e sanguigno di Paolo Carnera, trasloca da Harlem a Brooklyn, omaggio a Leone. È Il chiodo, misteriosa novella terminale, sull’ incomprensibile efferato omicidio di Betty, 8 anni, capelli rossi. Un ragazzo siciliano immigrato, piccolo cameriere di ristorante la colpisce con quell’arma, casualmente o forse casualmente trovata, per fermare un litigio tra bimbe. La forza del destino? L’orrore del sublime? La vita che scavalca ogni immaginazione umana?
A 91 anni, Paolo Taviani dedica a Vittorio morto a 88 anni nel 2019 e per sua volontà cremato, questo esordio in solitario, requiem scritto insieme, e ricreato sul set e nel montaggio (con Perpignani, maestro dell’ellissi fertile).
Il titolo è della novella pirandelliana del 1910: una donna dalla gioventù libertina, reclusa poi in casa da un marito geloso, ritrova la gioia di vivere ricantando (con troppa passione, fino a morirne) le arie del Trovatore…  


Roberto Silvestri, voto: 8

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