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Open Arms - La legge del mare

Regia di Marcel Barrena vedi scheda film

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La recensione su Open Arms - La legge del mare

di pazuzu
6 stelle

Il regista inserisce tra i personaggi reali altri inventati e paradigmatici, e cerca uno sviluppo narrativo appellandosi ai comportamenti dei singoli esseri umani nel contesto di dinamiche tristemente ben note e che quindi faticano ad apparire sorprendenti, trovando drammaturgicamente il limite in una certa prevedibilità e/o ripetitività.

 

 

L'incipit di Mediterráneo consiste in brani da conversazioni telefoniche: persone chiedono soccorsi in mare alle autorità di Malta e a quelle di Lampedusa, e ciascuna rimpalla la responsabilità all'altra. Il tema, purtroppo, è già ben chiaro.
Il racconto parte con le immagini da Badalona, in Spagna, dove Oscar e Gerard lavorano come bagnini per una compagnia di salvataggio e recupero in acqua denominata Pro-Activa Serveis Aquàtics. È l'inizio del settembre 2015, e una fotografia inizia a fare il giro del mondo: è quella del piccolo Aylan Kurdi, un bimbo di tre anni in scarpe, pantaloncini e maglietta riverso senza vita sul bagnasciuga di una spiaggia turca. Questa foto sconvolge Oscar: lui che quel tipo di soccorso lo fa per lavoro, non si capacita di come una cosa del genere sia stata possibile. Decide così di spostarsi sull'isola greca di Lesbo, sulle coste di quel lato del Mediterraneo dove altri sbarchi sono in corso. Gerard lo accompagna per salvaguardarlo da sé stesso, e quella che doveva essere una missione di due giorni inizia a durare settimane, con i due che vengono raggiunti da Esther, figlia di Gerard, e Nico, il contabile.

 

 

Mediterráneo è il secondo lungometraggio dello spagnolo Marcel Barrena, che sceneggia (con Danielle Schleif) partendo da una storia vera da lui stesso scritta: il titolo con il quale sarà distribuito in Italia è Open Arms, perché è della nascita della meritoria organizzazione non governativa che si parla. Con l'intenzione di aggiunger forza alle sacrosante istanze che il film porta avanti, il regista punta su una messinscena il più possibile realistica, con abbondante ricorso alla camera a mano o a punti di vista poco comuni (dal basso, o in parte dietro ostacoli visivi), in più scegliendo tra i personaggi dei veri profughi, chiamati così a recitare elaborando la propria esperienza.

 

 

Fatta la tara di espedienti che arricchiscono il carico emotivo del racconto, il regista inserisce tra i personaggi reali altri inventati e paradigmatici (Rasha, giovane dottoressa che ha perso il contatto con la figlia e spera prima  o poi di vederla sbarcare), e cerca uno sviluppo narrativo appellandosi ai comportamenti dei singoli esseri umani nel contesto di dinamiche tristemente ben note e che quindi faticano ad apparire sorprendenti, quale lo scaricabarile tra polizia e guardia costiera, trovando drammaturgicamente il limite in una certa prevedibilità e/o ripetitività. Il risultato finale è un inevitabile pugno che raggiungerà lo stomaco di chi ha la predisposizione a riceverlo, ma continuerà ad essere schivato da chi, per qualsivoglia motivo, è già abituato a farlo.

 

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