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Il collezionista di ossa

Regia di Phillip Noyce vedi scheda film

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La recensione su Il collezionista di ossa

di scandoniano
8 stelle

Lincoln Rhyme è un ex detective, diventato tetraplegico per un incidente sul lavoro, ma la cui spiccata intelligenza serve ancora all’arma per risolvere i casi più spinosi . Stavolta Rhyme è chiamato ad analizzare la scena di un delitto in cui i rilievi sono stati effettuati dalla giovane Amelia Donaghy, in cui un maniaco ha inspiegabilmente sequestrato e poi torturato una facoltosa coppia newyorkese. Rhyme prova a cooperare con la poliziotta, ma i loro metodi sono agli antipodi, per cui la collaborazione non è affatto facile.

Il regista Phillip Noyce imposta questo thriller in maniera intimista, non eccedendo nella spettacolarizzazione, ma andando in profondità della psiche dei protagonisti, dei poliziotti più che dell’assassino. Del serial killer non c’è traccia; perché non importa chi sia e perché abbia compiuto certi  reati (difatti la sua identità non verrà svelata se non inevitabilmente nel finale). Ciò che interessa a Noyce, che traduce con fedeltà e dovizia il plot scritto da Jeffrey Deaver, è la profonda analisi dei protagonisti, tutti complessi e di spessore. Quella che è una scelta precisa e voluta però può essere considerata, a ragione, anche un suo forte limite (dipende dai punti di vista): chi si attende azione e colpi di scena ha sbagliato film. “Il collezionista di ossa” è un thriller psicologico fuori dagli schemi, e non solo per la fotografia, insolitamente gotica per una pellicola del genere, ma proprio per il taglio atipico voluto dall’autore e rispettato nella trasposizione cinematografica. Il gioco d’equilibri tra le pedine sullo schermo è il vero valore aggiunto della pellicola.

Il walzer tra Denzel Washington e Angelina Jolie è armonico; ma è tutto il cast, di livello, a funzionare, in quanto capace di interpretare al meglio il proprio ruolo, anche grazie ad una caratterizzazione molto ben delineata. In fin dei conti, nonostante l’ingombranza dei due divi, si tratta di un film corale, in cui il rapporto tra i protagonisti è un duello intenso e morboso che diviene un amplesso sofferente, ambiguo, un amore misto ad odio che è tensione nella tensione; non a caso l’unico cenno di distensione di Rhyme e Donaghy arriva solo nell’ultima inquadratura, rappresentato dai loro ampi sorrisi liberatori.

L’allestimento, gli ambienti, la fotografia suggeriscono una fruizione al limite del sacrale, nel buio di una sala cinematografica o comunque con tutti i crismi più prossimi ad una visione in sala. Colpa, o merito, delle ambientazioni cupe e misteriose, della scenografia lugubre, dominata dai chiaroscuri che strizzano l’occhio al gotico, alle riprese debitamente distribuite tra gli interni serafici e sordi e gli esterni caotici e pericolosi. “Il collezionista di ossa” è della stessa schiera di “Seven”, di “Saw – L’enigmista”, de “I soliti sospetti”: esperienze cinematografiche pure, per cui vale la pena benedire la settima arte.

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