Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
E' un omaggio, o almeno una riflessione sullo stesso otto e mezzo. Certo, questo è vero, che greenaway ci prova un certo gusto nel prendere in giro un pò tutti quanti (basta pensare come tratta americani e tedeschi in "le valigie di tulse luper" oppure gli italiani in "il ventre dell'architetto"), ma greenaway si spinge al di là di questa superficiale provocazione ed ironia. Secondo me basa il film su questa riflessione: "se costruissi l'harem felliniano per davvero(che poi è ciò che desiderano tutti gli uomini nelle loro fantasie, e qui ancora si sottolinea la grandiosità dell'onirismo felliniano), cosa accadrebbe?"; e da qui si apre il solito gusto greenawayiano per il disfacimento, per il pessimismo radicale condito da aromatica ironia. I due costruiscono l'harem, ciò poi va contro loro stessi. E' l'impossibilità della fantasia di diventare realtà, la masochistica affermazione dell'uomo che vuole quello che non potrà mai avere. Spese infinite, morti drammatiche, fughe e denaro rubato: ecco quello che accade quando si vuole trasformare la fantasia in realtà! lo sguardo di greenaway è radicale e perverso, è la esplicitazione del desiderio umano, dell'umana (ancora una volta) impotenza. Fellini è visto come il paradigma dell'arte (intrinsecamente fantastica), arte irragiungibile nella stessa vita, separazione radicale tra vita ed arte, tra sogno (inteso come desiderio) e materia. Arte come ricerca dell'impossibile, dell'immutabile, dell'immortale. Guardare fellini è per i due come essere nani e sognare di diventare giganti, credendo di poterlo realizzare.
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