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Ventesimo secolo

Regia di Howard Hawks vedi scheda film

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La recensione su Ventesimo secolo

di giansnow89
8 stelle

Commedia abrasiva che fa pensare più che sorridere.

Howard Hawks declina nelle forme della screwball comedy tematiche non banali come il rapporto del divo dello spettacolo col suo sistema e con la sua arte. Argomento che con tonalità più cupe sarà analizzato per esempio da Bergman 30 anni dopo in Persona. Per noi che amiamo il cinema e più in generale i lavori finzionali di qualunque natura, l'attore appare come una divinità ineffabile e lontanissima. C'è un momento preciso all'interno del film in cui l'attricetta di umili natali (la Lombard) si trasforma in diva: ed è quello in cui l'eccentrico impresario Jaffe pone una stella sul suo camerino, come a voler marcare fisicamente il territorio e a voler separare il microcosmo esclusivo dell'attore da tutto ciò che sta al di fuori, ovvero la macchina produttiva, il pettegolezzo, i fan. In uno sconfinato e unitario villaggio globale come è il nostro mondo attuale, dove tutto appare collegato e niente può dirsi veramente isolato, certi discorsi sembrano sorpassati e anacronistici. Non si dà divismo senza la distanza fra l'oggetto di culto e il veneratore. Le star oggi sono industrie molto prima che artisti: si è perso quel brivido quasi mitologico della metamorfosi, anche se sopravvivono panda come Daniel Day-Lewis a ricordarci che cosa siamo stati. Se è vero come è vero che è il progresso che ha distrutto il divismo, allora vuol dire che il divismo era un fenomeno perfettamente naturale e primordiale connaturato all'arte del recitare, scomparso solo perché il mondo è artificialmente andato avanti. Il dilemma della solitudine della Lombard è reale, non è finzione cinematografica. Tutto il film è costruito intorno a dialoghi teatrali fra la Lombard e Barrymore, che recitano nella vita di tutti i giorni come se non sapessero fare altro, come se avessero perso il contatto con la realtà: come due alienati. La commedia stempera e mitiga quella che però rimane un'amara verità: non si può fare arte, non si può essere davvero protagonisti dell'arte senza che questa diventi una malattia. 

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