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Una storia vera

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Una storia vera

di LorCio
10 stelle

Un tagliaerba di modeste possibilità mangia l’asfalto con la disperata speranza di rimediare al passato. Alvin non può più perdere tempo, non deve farsi scappare quegli attimi indispensabili che potrebbero significare il recupero di un rapporto. Sin dai tempi di Caino e Abele si ripete la storia: tra fratelli non si può andare sempre d’accordo. Si litiga per delle inerziali faccenduole, di cui non manteniamo un ricordo a lunga scadenza. E la morte fa paura. Non tanto il momento – Alvin potrebbe essere di rito epicureo: quando la morte arriva, noi non ci siamo più – quanto il rimpianto. Sfida tutto e tutti imbarcandosi sul tagliaerba scassato e raggiungere la stella polare nel cielo sconfinato dell’America smarrita. Va lento, corre col moderato passo dei vecchi stanchi fisicamente e vivaci nello spirito. Non vuole sprecare l’attimo, e ne gusta ogni secondo. La meta è lontana, ma è l’occasione per crescere. Sì, a settant’anni e passa, si può (e si deve) ancora crescere.

 

Una storia vera è un film commovente. Perché trasuda di un’umanità di disarmante potenza. È il David Lynch che non ti aspetti, che prosegue un ideale discorso interrotto con The Elephant Man: al centro della scena c’è un personaggio il cui destino è segnato, ma che non si rassegna all’inevitabile, e tenta in ogni modo di cercare il proprio posto nel mondo. Lì John Merrick chiudeva gli occhi, e toglieva il disturbo, e la cinepresa si immerge in un universo onirico di sogni sereni in cui l’uomo elefante si ricongiungeva con la madre perduta. Qui Alvin Straight fa la sua comparsa riaprendo gli occhi dopo una caduta, dopo che Lynch ci ha portati ad esplorare i luoghi incontaminati del cielo stellato. Emblematica appare la scelta di immortalare il cammino autunnale di un uomo ormai giunto alla fine della corsa, ma che nonostante tutto si spinge oltre il traguardo che si presenta prossimo.

 

È un cinema classico che ha le sue radici ben piantate nel terreno sudato di un paese in preda all’incomunicabilità, i cui confini sembrano invalicabili se non fosse per la tenacia uomini testardi come Alvin. Più che vera, è una storia semplice che erge la linearità a valore fondamentale della messinscena: nessun artificio tecnologico, neanche lo spettro dei deliri dell’autore di INLAND EMPIRE e Twin Peaks (eccetto qualche elemento qua e là, come i gemelli meccanici e il cervo investito). Non è una sorpresa che Lynch adotti certi toni. D’altro canto, incantano. Incantano la gioia con il quale rappresenta il road movie esistenziale di quest’uomo, gli incontri che ne popolano il cammino, dalla ragazza abbandonata dalla famiglia alla donna investita dai tormenti del pendolarismo cruento, passando per una gentile famiglia benestante e un prete caritatevole.

 

Ecco, Una storia vera è anche un film profondamente spirituale e al contempo assai laico, nel quale emergono con passione i valori della famiglia e dell’amicizia: non solo il tentativo di recupero del rapporto tra Alvin e suo fratello Lye, ma anche il legame tra il primo e sua figlia Rose, forse ritardata, chissà. E poi la memoria. Ricordare fa male, specie i tempi della giovinezza. Necessarie lacrime bagnano i volti segnati dal dolore e dalla vita di Alvin e di un anziano interlocutore occasionale quando si rievocano i duri e crudeli momenti della guerra. Ecco allora qual è il vero tema centrale di Una storia vera: è la ricerca di un punto di concordia tra un passato inquieto, un presente speranzoso e un futuro incerto (come dimenticare gli occhi dolenti di Rose che guarda fuori cercando i figli perduti, i pensieri sommessi di Alvin che non si ricorda del perché abbia litigato con Lye). Eccellente Sissy Spacek, in un ruolo fondamentale apparentemente marginale.

 

E dunque si arriva alla conclusione, con l’incontro tra i due fratelli smarriti nei meandri dell’esistenza. Non è un caso che a rivestire la parte di Lye sia Harry Dean Stanton, già fratello (e padre) perduto di Paris, Texas, altro film in cui si cercava di mettere d’accordo il ieri con l’oggi in previsione del domani. Il silenzio che fa da preambolo alle loro parole, beh, è qualcosa di prezioso. Prezioso, d’altronde, è questo essenziale, vitale, genuino, ottimista (malgrado tutto) racconto di formazione, sui tagliaerba che lottano con l’asfalto e sui vecchi che non rinunciano a realizzare un sogno. Avvolto in un’aurea di semplice, poetica, armoniosa naturalezza. Chiusura per Richard Farnsworth al canto del cigno: dolcemente straziante, delicatamente irrequieto, splendidamente vitale, a dir poco favoloso.

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