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Under the Open Sky

Regia di Miwa Nishikawa vedi scheda film

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La recensione su Under the Open Sky

di pazuzu
7 stelle

Con tono leggero e sguardo umanista, Nishikawa descrive il corto circuito tra le convinzioni di Mikami e le convenzioni del vivere civile, filtrandole attraverso l'approccio mediamente miope della società nei confronti di chi dovrebbe essere aiutato a reintegrarsi.

 

 

Figlio di una geisha mai riconosciuto dal proprio padre, Mikami ha perso i contatti con la madre a quattro anni finendo in un orfanotrofio dal quale è fuggito ad undici, iniziando a lavorare per la criminalità e collezionando complessivamente dieci condanne e sei pene detentive. Ormai alla soglia dei sessanta, e con metà della propria vita trascorsa in galera, ne esce per l'ultima volta dopo essersi fatto tredici anni per un omicidio: il suo primo pensiero è far pervenire il proprio dossier, lungo una quaresima, ad una produzione televisiva come fosse un curriculum, confidando in uno show televisivo che gli permetta di ricongiungersi con sua madre, il secondo ripromettersi di lasciar perdere una volta per tutte la yakuza, di cercarsi un lavoro normale e di rigare dritto.

 

 

Under the Open Sky racconta l'affannosa ricerca della 'strada giusta' da parte del suo protagonista, un ex carcerato di mezza età che, come spesso accade, si ritrova ai margini con il rischio - ma nessuna voglia, essendo già stato recidivo - di tornare alla (mala)vita precedente.
La regista Miwa Nishikawa (alla seconda partecipazione alla Festa del Cinema di Roma dopo quella del 2016 con The Long Excuse) parte dal romanzo Mibuncho di Ryuzo Saki, scritto e premiato in patria negli anni '90, ne adatta il contesto al 2017 (anno in cui è ambientato il film) e cerca sin da subito di penetrare nella corazza che Mikami ha costruito e che gli serve per sopravvivere, che parte dall'illusione di poter ancora ritrovare la madre, della quale conserva ricordi ma che in realtà si è disfatta di lui da piccolo, e giunge fino alla struttura che egli, in anni di servizio alla yakuza, si è dato imponendosi regole rigorose ed un'autodisciplina che mal si sposano con il vivere civile nel mondo moderno: a prender parte a questo percorso formativo ritardato, ciascuno con un ruolo che alla lunga si rivela costruttivo, sono un giovane regista televisivo venuto in possesso del suo dossier e alla ricerca di un soggetto su cui scrivere, il commesso di un alimentari al quale ricorda suo padre, ed un assistente sociale che in realtà ha sin troppe gatte da pelare.

 

 

Con tono leggero e sguardo umanista, Nishikawa descrive il corto circuito tra le convinzioni di Mikami e le convenzioni del vivere civile, filtrandole attraverso l'approccio mediamente miope della società nei confronti di chi dovrebbe essere aiutato a reintegrarsi, e riservando alla descrizione della sua personalità e delle sue vicissitudini (il libro prende le mosse da una storia vera) il centro del palcoscenico: non solo la ricerca di un'occupazione, ma più in generale quella di un equilibrio che gli permetta di rapportarsi al prossimo senza il ricorso sistematico alla violenza, quindi ad imparare l'arte del compromesso, a sviluppare il senso di responsabilità, e inevitabilmente - con esso - a vivere per la prima volta in età piuttosto avanzata il supplizio del senso di colpa.

 

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