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Laila in Haifa

Regia di Amos Gitai vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Laila in Haifa

di obyone
4 stelle

 

scena

Laila in Haifa (2020): scena

 

Venezia 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.

In un parcheggio, un tizio viene preso a pugni e calci con violenza da due sconosciuti che si dileguano a bordo di un auto nella notte. La vittima si dimena ad altezza suolo. Si alza, cade, si contorce. Una scena lunga, ripresa dall'alto, ad una certa distanza, in cui l'uomo, che scopriremo essere il protagonista di "Laila in Haifa", sembra Cristo, claudicante, lungo la Via Crucis. Siamo però ad Haifa e non a Gerusalemme e l'insistenza con cui Amos Gitai celebra la sofferenza del poveretto sembra esagerata e di certo non ha la sacralità dell'illustre antenato. Ben presto però vediamo una maddalena corvina che, disperata, corre sul luogo del pestaggio per soccorrere l'uomo ferito. Lei è la Laila del titolo. Le lungaggini di questo prologo mi provocano i primi avvisagli di orticaria ma non è il primo film che parte col piede sbagliato. Decido di dargli fiducia. Una volta entrati nel locale, dove l'uomo è atteso già da un po', per inaugurare la sua personale, e scongiurata la necessità di un'ambulanza ed il ricovero in ospedale, la bella Laila e Gil, lo sventurato fotografo, finiscono al piano rialzato dove si scambiano le effusioni degli amanti.

A questo punto non ce la faccio già più. Le bolle cominciano a propagarsi sulle braccia e sulla faccia lasciandomi addosso un prurito senza pace. Immagino di essere in un locale vicino a casa mia, una bella birreria con soppalco ricavato da un vecchio edificio contadino. Anche lì ci sono comodi divanetti di pelle in cui tuffarsi ma non mi ci vedo togliere la camicietta a mia moglie mentre sotto brindano con un boccale pieno di birra. Ma in Israele, evidentemente, c'è chi ha abbastanza pelo sullo stomaco per non lasciarsi intimidire dall'altrui presenza. Gli uomini israeliani, poi, che sono abituati a prestare anni di servizio sotto l'esercito, hanno anche gli attributi per giocare all'amazzone subito dopo aver ricevuto una gragnuola di randellate che richiedono al regista un'ostentata e pomposa decina di minuti per riportare il moribondo protagonista in posizione verticale. Al posto suo sarei finito sul letto di un pronto soccorso. Ma io non sono israeliano.

 

locandina

Laila in Haifa (2020): locandina

 

Non ci siamo proprio. Il film mi sta già sui coniglietti ma non sono abituato a salutare anzitempo. Ma se l'inizio rasenta la parodia il resto non è migliore. Laila e Gil sono, agli occhi del regista, il pretesto per portarci in un luogo festaiolo in una città in cui israeliani e palestinesi si fondono nella movida. Ci sono una mostra d'arte e, soprattutto, molti personaggi arrivati lì per divertirsi durante il vernissage. Ci sono il vecchio marito di Laila, la sorella di Gil, una vecchia con parrucca che si dilegua quando scopre che l'uomo che ha addescato su "Tender" è palestinese. C'è una coppia omosessuale, c'è una Drag Queen danzante sul cubo, ci sono i problemi del cuoco e della consorte, c'è una terrorista palestinese che per qualche minuto sprizza un irresistibile magnetismo lesbico ed un'altra infinita serie di uomini e donne pronti a mettere sul tavolo il proprio vissuto, idee e sentimenti. Un calderone in cui Gitai butta tutti concedendo qualche minuto di dialogo sull'esistenza. Nel mettere tanta carne al fuoco Gitai si dimentica del luogo in cui ha ambientato il suo racconto. Nei locali alla moda, il sabato sera, è più probabile che la gente si ubriachi, balli, si fumi uno spinello, si faccia una pera, si diverta con gli amici e rimorchi. Ed infatti, l'unica scena sincera è quella tra la sorella di Gil ed il ragazzo palestinese che la rimorchia al bar con un drink. E Gitai riesce a rovinare anche l'ovvio con una macchina fatalmente parcheggiata davanti alla porta d'uscita nella quale i due si contorcono senza pudore, sotto i riflettori, nella smania di consumare. Se fosse mai capitata a me una cosa simile avrei trovato parcheggio ad un km di distanza, il tempo di raffreddare i bollenti spiriti. Non sono israeliano.

Il resto è fuffa, noia, celebrazione dell'assurdo, comportamenti bizzarri e illogici, parole pompose e un guazzabuglio disordinato di idee buttate là senza alcuna sostanza nel tentativo di parlare di Israele, Palestina, razzismo, maschilismo, omofobia, politica, terrorismo, investimenti (persino quelli) e chi più ne ha più ne metta. Gitai non ha mai messo piede nei luoghi della movida dove nessuno si metterebbe a parlare dell'esistere e dell'apparire. Banalità, luoghi comuni, assenza di approfondimento, superficialità nel graffiare la superficie di una società dai mille problemi. Non ho visto altro in questo svolgiato compitino con idee sviluppate grossolanamente che meritava una sforbiciata e, magari, qualche risposta. Una ad esempio: chi ha messo a terra quel povero uomo ad inizio film? Altri mariti gelosi, simpatizzanti di Hamas? Non chiediamo troppo. Non lo sa nemmeno il regista. Arrivederci alla prossima Amos, magari ad una cena tra amici borghesi.

 

Bahira Ablassi

Laila in Haifa (2020): Bahira Ablassi

 

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