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Sogno di una notte di mezza estate

Regia di Michael Hoffman vedi scheda film

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La recensione su Sogno di una notte di mezza estate

di Aquilant
4 stelle

Notte di Ferragosto. Desiderio di un sogno di una notte di mezza estate che si converte in una delusione annunciata. Si sconsiglia di conseguenza la visione di questo insipido brodetto in salsa mitologica in special modo a coloro che hanno avuto occasione di assaporare in precedenza l’intrigante “Trionfo dell’amore” di Clare Peploe ed il solare “Molto rumore per nulla” di Kenneth Branagh. Cos’altro dire a proposito di una sconclusionata ed imbarazzante tiritera di triti e ritriti andirivieni in un bosco fatato popolato di personaggi fiabeschi che non hanno nessuna attinenza con una sorta di appiccicaticcio realismo di marca prettamente toscaneggiante, arbitrario sovvertimento della mitologica ambientazione originaria? Che cosa farsene di una raffazzonata atmosfera ottocentesca che riconduce inevitabilmente lo sguardo in (tutt’)altri luoghi e (tutt’)altre stanze, sconsolatamente alieni da mitologiche suggestioni e privi oltretutto di un’efficace coralità dell’azione? Lo scollamento tra due realtà così diverse per epoca, concezione ed ambientazione manda completamente in malora le intenzionalità shakespeariane tutte giocate su atmosfere sospese in una dimensionalità spaziale appartenente ad un “tempo senza tempo” in armonia col doppio binario del tema trattato e perfettamente in grado di rendere possibile la verosimiglianza della storia una volta avviata nella selva dell’invenzione fantastica.
Ovvio che dopo tali necessarie premesse lo sguardo corre inevitabilmente al cast stellare tutto infarcito di “money-making stars” convocate per l’occasione onde rendere maggior gloria al “bardo per tutte le stagioni” tramite la divulgazione al grande pubblico del verbo creatore di un’arte immortale. Proposito lodevole condotto ad un inevitabile naufragio grazie ad uno script pedestremente (ir)realizzato. Il gigioneggiante Kevin Kline, ad esempio, in un momentaneo delirio di magniloquenza, complice il regista, abbandona a mezza strada il personaggio di Nick Bottom per interpretare velleitariamente sé stesso, mentre una Titania spaesata tutta vezzi e moine ci ricorda un po’ troppo la leziosità di una certa Michelle Pfeiffer in “Paura d’amare” o in “Qualcosa di personale” per non parlare di uno Stanley Tucci, risibile satiro da sottoporre e prepensionamento anticipato. Può a questo punto il dilandoghiano Rupert Everett salvare baracca e burattini? No di certo, ci mancherebbe altro! E poi, diciamocelo francamente, non ci ricorda un po’ troppo da vicino lo sclaviano (e freghieriano) Francesco Dellamorte? Vero è che lungi dall’emulare un tale Maramaldo e fare piazza pulita di inesistenti cadaveri il nostro si sforza invece di risvegliare le passioni dei vivi non mancando comunque di fare la sua (brutta) figura.
Allo spettatore resterà pur sempre la consolazione di aver assistito a due film al prezzo di uno e di questi tempi di recessione, amici miei, scusate se è poco!

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