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The Human Voice

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Human Voice

di laulilla
8 stelle

Bell'omaggio di Pedro Almodovar al cinema e alla cultura che gli sono da sempre cari e che lo hanno ispirato in ogni momento della sua carriera da cineasta.

 

Almodovar si confessa, offrendoci questo corto molto bello sia per gli splendidi colori pastosi e passionali (un sontuosissimo rosso in tutte le possibili variazioni tonali), sia per aver ricordato le sue origini cinematografiche scoperchiando per noi il tetto della casa materna (quella di Dolor y gloria, credo), lasciandoci vedere, attraverso i libri e i DVD che significativamente impila, nonché le tele alle pareti, la cultura che gli ha permesso di diventare un’icona del cinema spagnolo ed europeo fra il ‘900 e i nostri giorni.

 

Fra i suoi autori, Cocteau, innanzitutto, che aveva indicato nelle sue Rivisitazioni i modi per far rivivere nel teatro contemporaneo miti, leggende, favole che risalivano alle origini stesse dell’umanità e che avevano trovato nel cinema nuove corrispondenze, altre rivisitazioni  per impedire che se ne cancellasse la memoria.

 

Fra i suoi registi, il Rossellini del 1948, che nel film L’amore aveva messo in scena La voce umanauna delle rivisitazioni di Cocteau, avvalendosi di un’unica attrice, Anna Magnani, che in mezz’ora, con la sua sola voce, e l'espressività del volto aveva saputo costruire prodigiosamente il mondo di una donna disperata e offesa nell'orgoglio, che solo il filo del telefono teneva aggrappata alla vita, cosicché quel filo era diventato l'emblema stesso dell’attesa di parlare con l’uomo che l’aveva abbandonata per chiarire, ragionare e trovare il senso della propria lunga fedeltà.


The Human Voice è infatti la rivisitazione, oggi, di quella telefonata di Anna Magnani, allora giovane e già grandissima, che oggi non è più con noi.  Anche i telefoni non sono più fra noi e neppure i loro fili: gli smart li hanno rimpiazzati, ma l’amore disperato e gli amanti fedifraghi esistono sempre, invariabilmente provocando dolore, solitudine, vuoto di senso, frustrazione del proprio narcisismo.

 

È l’androgina e nervosa Tilda Swinton, che, al posto della morbida e molto femminile Anna Magnani, interpreta con grande verità la stessa scena di mezz’ora, con maggiore rabbia, forse, a giudicare dal frantumarsi di bicchieri, vasi e oggetti legati alla memoria amorosa, che riportano alla nostra mente un’altra antica rivisitazione di Almodovar (1988): Mujeres al borde de un ataque de nervios nella quale un’ indimenticabile Carmen Maura nelle vesti di Pepa, rivive la stessa spasmodica attesa di un cenno telefonico da parte di un incorreggibile e bugiardo dongiovanni.

 

Il cinema, dunque, come gioco di specchi, di rimandi per raccontare il nostro cuore, in bilico perennemente fra commedia narcisistica e scontro di brucianti passioni (e l’aggettivo brucianti ha un suo perché...).

 

 



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