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L'umanità

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su L'umanità

di EightAndHalf
10 stelle

Non pochi dubbi rimangono e permangono dopo la visione de L'humanité di Bruno Dumont. Il film, arricchito da un simbolismo rarefatto che lascia trapelare, in questa e in quella scena, una ben precisa presa di posizione da parte del regista, aspira ad essere, probabilmente, una sorta di reinvenzione della sessualità del protagonista, inebetito da una tragedia che l'ha colpito molti anni prima, in cui ha perso moglie e figlia. Ricondotto, magari per il dolorosissimo trauma, a uno stato di ingenuità propria di un bambino, Pharaon De Winter indaga sullo stupro e sull'omicidio di una bambina di 11 anni, incanalando in questo tragico evento tutto il Male da lui concepibile e rendendolo motore di un ulteriore processo psicologico, chiaramente involontario, che lo vede dimostrare sempre maggior interesse nei confronti di Domino, che dal canto suo accetta che Pharaon, all'inizio della pellicola, assista ad uno dei convegni carnali con cui lei intrattiene il fidanzato Joseph, personaggio rude e violento, suscettibile e dall'atteggiamento grossolano. Compresso da due forze diametralmente opposte, la sessualità violenta del cadavere della bambina e la sessualità impetuosa e carnale di Domino (dualismo che spinge Dumont a ritrarre, all'inizio e alla fine, due diverse Origini del Mondo), Pharaon, come lo spettatore, si destreggia come meglio può, assorbendo in sé stesso i momenti di imbarazzo e di inutile aggressività che Joseph dimostra nei confronti del mondo. E incapace di comprendere l'atteggiamento di Domino, che risulta innamoratissima del violento Joseph, non si preoccupa minimamente di essere un terzo incomodo, come se il gioco delle parti (sottilmente giostrato da Domino) lo comprendesse direttamente e lo rendesse partecipe e allo stesso tempo apprendista del mondo della sessualità. Attraverso l'immagine, e attraverso dunque il cinema, apprendiamo ciò che apprende Pharaon da un mondo che è chiuso dalle pareti trasparenti delle pianure francesi, che con il grigiore del cielo si privano del loro naturale pluricromatismo e diventano teatro del Male dell'essere umano. L'humanité, ci aspetteremmo che Dumont ci dia una definizione di umanità, ma poche risposte ci vengono date, mentre molti contenuti ci vengono evocati e soltanto suggeriti, nascosti dietro un realismo solo apparente che cela una precisissima costruzione metaforica. L'umanità nasce e si muove secondo due motori onnipresenti, quasi dotati di vita propria e che vivono attraverso le azioni umane: il sesso e la violenza, sintetizzati dal sesso violentato dell'undicenne all'inizio del film, e che è origine traumatica dell'umanità, del Bene e del Male, di Pharaon come di Domino come di Joseph. E' un origine traumatica, talmente da incarnare in sé stessa, come si è gia suggerito, il Male pratico che naturalmente corrisponde a un Male trascendente. Il Bene è ingenuità, ma è il Bene di Pharaon è un Bene talmente fragile da risultare controproducente, incapace di tollerare visioni troppo disparate di bassezza umana e di personale frustrazione. Nelle tre scene di sesso di Domino e Joseph non ci sentiamo partecipi dell'evento, ma semplici osservatori, ed è qui che Dumont cerca di tirare le fila del discorso, appellandosi al ruolo della vista, dell'immagine, dello sguardo, il quale permette di apprendere. Dumont ci insegna l'umanità, non in termini banalmente didascalici, ma per immagini costantemente insoddisfacienti, lontane, impersonali, vuote, com'è vuota quella campagna francese che già ne La vie de Jesus tormentava animi sofferenti e soli. Nell'approccio variegato a un sesso a tal punto fuso con la violenza (dello stupro della bambina e della rudezza di Joseph), Pharaon cerca un modo di esorcizzare una paura ancestrale, che gli pone di fronte varianti diverse e continue di sentimento umano, spinto da un'attrazione (apparente?) verso Domino e sollecitato dalle immagini che grazie a Domino lui assimila: il mare, uno sciopero, un organo riproduttivo femminile, un rapporto sessuale. Il sesso è iniziazione inevitabile, seppur sporca e pericolosamente minacciosa, alla vita all'interno dell'umanità, per un conformismo quantomeno esistenziale che dovrebbe mettere d'accordo tutti. L'umanità è così caduta nell'enorme contraddizione di un processo di autodistruzione, poiché al suo interno vede come normale processo relazionale quella violenza che Pharaon può vivere in diversi modi, soprattutto se è un poliziotto e deve scovare uno stupratore assassino. Ecco che la verità, che è il punto di arrivo (o di partenza?) della conoscenza della vita, avviene per lo spettatore tramite gli occhi di Pharaon, nei suoi sguardi persi verso l'orizzonte, nelle sue sgraziate posture, nelle sue fastidiose ingenuità, nelle sue indagini, un Bene sofferente che guarda a un Male e decide di baciarlo, di unirsi magari carnalmente con lui, per poter finalmente portare i fiori al luogo dello stupro, per poter dimostrare la propria essenza. Il Bene di Pharaon si afferma nella sua unione con il Male, nella conoscenza intima del suo contrario. E simile approccio ai massimi sistemi morali, etici e trascendenti Dumont ce lo suggerisce tramite costanti e invadenti riferimenti al crocifisso e a una chiesa che onnipresente corona la fine della strada dove Pharaon e Domino vivono. 
E tante altre potrebbero essere le sfumature de L'humanité, che sicuramente estremizza i temi dell'opera prima del regista e definisce, del regista stesso, lo stile bressoniano, immobile e attonito. Eppure si avverte uno straordinario compiacimento, nei campi lunghi, negli effetti improvvisi di certe scene, nella costruzione simbolica del film. Si avverte una certa confusione nei vari rimandi all'origine, non solo nei riferimenti a Courbet, ma nei frequenti riferimenti alla Terra che genererebbe l'uomo, nei riferimenti all'empatia del Bene, che in un certo senso sa capire anche il Male, diversamente dal Male che si rivela ottuso e testardo, nei riferimenti agli elementi spesso provenienti dal cielo (un aereo che indicherebbe un mondo lontano dalla campagna?, delle luci folgoranti che sono accecanti messaggi di Dio privi di alcun tipo di spettacolarità?), e la troppa carne al fuoco finisce per rendere il film talmente cerebrale da privarlo di fluidità, di cui è dotato per la prima ora e che lentamente va perdendo, dimostrando anche di essere talmente ricco da non saper dosare le cadenze ritmiche, da non saper inserire in un giusto ritmo, da non saper ipnotizzare. E la visione risulta monca, acerba, il vuoto non si fa significante di per sé di altro, ma subisce la fruizione invadente e necessaria della mente dello spettatore  al fine della comprensione, cosa che svuota di qualsiasi immediatezza poetica la pellicola, che rivela la scarsa presenza di quella stessa immediatezza poetica. Dumont, neanche al suo secondo film, definisce così tanto il suo stile da sfiorare la maniera, e tutto finisce per essere arido e freddo. Che forse Dumont stesso si sia perso nel momento in cui vuole assumere gli occhi di Pharaon ma non riesce a farlo perché troppo ingenuo? Che abbia tentato di trattare qualcosa troppo più grande di lui? L'umiltà di quella semplicità che è la regia de L'humanité cozza con i sottotesti, e rivela un atteggiamento autoriale tutt'altro che affascinante. Troppa incapacità di sintesi, lunghezza non necessaria, confusione del regista e dello spettatore. Restano degli stracci potenti e interessanti riguardanti la natura dell'uomo, ed è già tanto, ma purtroppo niente di più.

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