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East Is East

Regia di Damien O'Donnell vedi scheda film

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La recensione su East Is East

di obyone
8 stelle

 

 

Dicembre 1971. Mentre nel Pakistan orientale infuria la guerra civile, a Salford nel Lancashire nell'abitazione popolare di Jahangir "George" Khan, immigrato pakistano sposato da 25 anni con l'inglese Ella, il clima è quanto mai teso. Nazir, il più grande dei 7 figli, ha mandato a monte il matrimonio impostogli dal padre, alcuni mesi prima, e George ha tutta l'intenzione di riprendersi lo scettro del potere dopo l'affronto consumato dal figlio reietto. Mentre la radio e la tv danno notizie scoraggianti dal Bengala, in casa Khan, si innesca la scintilla del conflitto famigliare: l'oggetto del contendere è la libertà dai vincoli della cultura paterna. Il film, opera prima di Damien O'Donnell, deve la sua fortuna allo smagliante script dell'attore britannico Ayub Khan-Din profondo conoscitore sia della comunità di provenienza quanto dei sobborghi proletari di Manchester. Il film è scoppiettante e mette sul piatto il fenomeno "integrazione" in un periodo in cui politici, come Enoch Powell, erano notoriamente contrari alla presenza di stranieri sul suolo britannico. Khan-Din e O'Donnell ci immergono con ironia nel tessuto culturale della working-class riproducendone il linguaggio fisico e verbale, senza sconti e abbellimenti, rendendo così il contesto proletario genuino e ammiccante. Ricco di gag esilaranti, il film alterna momenti di spassosa comicità a momenti di intensa drammaticità. L'acume, nella penna dello sceneggiatore, raggiunge la vetta quando Maneer, il fratello osservante (dell'Islam), che per disprezzo i fratelli chiamano "Gandhi" (come dire indiano, induista e venduto), le busca dal padre pur di difendere i fratelli che non accettano l'autorità paterna (islamica). Una visione metaforica decisamente sagace del conflitto indo-pakistano che volgeva al termine con l'inevitabile sconfitta di Islamabad, e dei generici rapporti di (cattivo) vicinato del paese asiatico. Non a caso il regista (irlandese) e Khan-Din infilano tra le mani dell'amante omosessuale londinese di Nazir uno splendido levriero afghano. Una sequenza che velatamente e maliziosamente porta alla ribalta gli annosi problemi di confine tra Afghanistan e Pakistan acuiti dalla "prostituta" britannica. Direi, dunque, che questa commedia, che non mi stancherò mai di rivedere, lascia allo spettatore diverse chiavi di lettura: politica, sociale e, non ultima o meno importante, famigliare. Ed è con questa che voglio concludere perché a Salford, intanto, una mezza tazza di tè sancisce la pace, tra Ella e George, o almeno la tregua, col marito malconcio e sconfitto, alle prese con le proprie ferite interiori che il tempo è l'amore di (per) Ella guariranno. Perché, si sa, è solo l'amore che travalica ogni confine: relazionale, generazionale, politico.

 

Cielo

 

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