Regia di Damien O'Donnell vedi scheda film
«Ti ho dato sette figli e non starò a guardare che li distruggi a uno a uno solo perché sei un lurido porco»: lo sfogo della moglie del fiero pakistano George Khan - detto “Gengis” - è di quelli da presa di coscienza femminista. Siamo a Salford, nel nord dell’Inghilterra. E siamo, ancora, nel 1971. Nella comunità musulmana del posto, Gengis è famoso per il suo integralismo e per il suo “pugno di ferro”. Ma i flussi contestatari stanno per arrivare anche lì e dentro le mura di una famiglia composta per lo più da giovani che non hanno nessuna intenzione di seguire le tradizioni di un capofamiglia despota e maschilista. La prima sorpresa dell’opera d’esordio dell’inglese Damien O’Donnell (presentata alla “Quinzaine” di Cannes ’99) è che fa ridere: le disavventure dei Khan sono infatti narrate come avrebbe fatto Frears all’inizio degli anni ’80 o come le avrebbe narrate Kureishi in uno dei suoi celebri bestseller di nicchia. La seconda sorpresa - che in realtà sorpresa non è, per chi ha avuto la fortuna di seguirlo nei festival internazionali - è l’attore Om Puri, che giganteggia come un Volontè grottesco, come un Gassman “sorpassato”, come un re davanti ai suoi sudditi. C’è molto di già visto, ma il divertimento (intelligente) è assicurato.
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