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Triangle of Sadness

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Triangle of Sadness

di steno79
7 stelle

Ruben Ostlund è un regista svedese che da noi si è fatto notare soprattutto a partire dalla Palma d'oro per "The Square", prontamente ripetuta con questo "Triangle of sadness", il che porta a pensare che le giurie del festival di Cannes abbiano una predilezione per la sferzante satira antiborghese ed anticapitalista di Ostlund (la prima palma gli è stata assegnata da Almodovar, la seconda da Vincent Lindon). "Triangle of sadness" è un film ambizioso che stavolta prende di mira, oltre ai ricconi che fanno una lussuosa crociera su uno yacht, anche i modelli e gli influencer alla cui categoria appartiene la coppia di protagonisti dal fisico perfetto, che però durante la crociera e soprattutto dopo un naufragio che li costringerà a cercare rifugio su un'isola, sveleranno molte fragilità caratteriali e saranno costretti a fare i conti con un ribaltamento di ruoli sociali che vedrà i poveri ed oppressi trasformarsi in novelli oppressori. I contenuti certamente non mancano, tanto che Ostlund sa aggiornare la tematica dello scontro di classe ad una prospettiva contemporanea abbastanza realistica, ma il film arriva forse un po' in ritardo rispetto alla voluta dissacrazione degli agi e dei privilegi della Ruling classe, con le scene della tempesta, dei ricchi che vomitano e del water che esplode che sembrano aggiornamenti un po' forzati della carica feroce e iconoclasta di un Ferreri, a cui Ostlund sembra inchinarsi con un omaggio diretto alla scena analoga de "La grande bouffe". La galleria di personaggi è abbastanza interessante, sia nei due giovani protagonisti che in alcuni comprimari, mentre lo script non sempre procede con svolte del tutto plausibili, anche se il finale rappresenta un momento di apparente ricomposizione dell'ordine sociale che invita ad una riflessione più approfondita. Nel cast buona soprattutto l'interpretazione della giovane Charlby Dean, purtroppo prematuramente scomparsa, e non male l'altrettanto bello Harris Dickinson, che in futuro potrà dare buona prova di sé; qualche perplessità sostanziale sul film, come già fu nel caso di "The Square", soprattutto sull'opportunità di conferirgli un premio così ambito, ma anche l'impressione di aver assistito ad uno spettacolo tutto sommato utile nella sua voluta sgradevolezza e provocazione, non memorabile, ma pur sempre una fotografia accurata di un malessere generazionale e di una lotta feroce fra individui in balia di pulsioni incontrollabili, quando il Denaro in qualche modo perde il suo ruolo di padrone delle nostre vite. Amaro e leggermente di maniera.

Voto 7/10

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