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Sei donne per l'assassino

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sei donne per l'assassino

di giansnow89
10 stelle

Pezzo di bravura di uno dei più grandi registi della storia del cinema, ingiustamente condannato all'oblio dai suoi connazionali.

Talvolta sono sufficienti i titoli di testa per capire che ci si trova di fronte a un film fuori dalla media. Sono un manifesto programmatico, che ci proietta nelle tematiche e nell'atmosfera dell'opera, prima ancora di averne visionato un fotogramma. Essere umano e manichino sono in stretta simbiosi, quasi che l'uno sia il doppelganger dell'altro. Il partire dal manichino ha una duplice simbologia: la più scontata rimanda a corpi inanimati, il titolo del resto ce lo suggerisce, Bava non lesinerà certo sul numero di cadaveri, ma anzi calcherà morbosamente la mano; secondariamente il manichino è oggetto, oltre che senza vita, anche senz'anima. Sono tutti uguali e massificati, al pari dei protagonisti che ruotano attorno all'atelier. C'è chi ruba, chi ricatta, chi è mantenuto, chi è invidioso, chi mente, chi ha la dipendenza della droga, e c'è anche chi uccide, ma è inglobato nella stessa palude torbida di tutti gli altri. Tutti egualmente spinti dal denaro e dal vizio, figure monodimensionali che non meritano compassione e non suscitano empatia. L'assassino è ridotto a poco più che pretesto per inscenare la trama: è talmente una tematica periferica, che Bava, con malizioso dispetto, ce lo rivela in maniera limpida con un indizio inequivocabile a 20 minuti dalla fine. Ma Sei donne per l'assassino ha un valore che travalica grandemente una prosaica trama gialla. Torniamo ai titoli di testa. Luci soffuse e colorate, una colonna sonora seducente: sono chiari segnali che anticipano un'opera di impronta spiccatamente estetizzante. L'equilibrio formale è di esattezza rara: a un'eleganza scenica e tecnica si affianca quello che è stato erroneamente da alcuni interpretato come un eccesso di perversione. Ma che vi è di perverso o sadico, in un'autocitazione de La maschera del demonio (l'assassinio di Nicole), o nel wellesiano piano sequenza che rivela lo spostamento del cadavere di Peggy, o ancora nella risoluzione hitchcockiana del dramma, coi due amanti diabolici che prima si baciano e poi si eliminano? Siamo dinnanzi a un esercizio di stile impareggiabile. La morte, su cui Bava indugia, non infastidisce l'occhio ma arricchisce la visione e la completa, la rende un'esperienza. E' una pellicola che inconsapevolmente genera perfezioni interne sconosciute persino all'autore: Bava, persona molto alla mano e di modi spicci, ai critici dei Cahiers du cinéma che gli chiesero conto di un eventuale tessuto connettivo fra l'insegna che ondeggia nella sequenza iniziale e il telefono che oscilla nel finale, rispose che non si ricordava nemmeno come finiva il film. Quando crei qualcosa di perfetto, non c'è nemmeno bisogno di pensare a tessuti connettivi, perché si instaurano da soli. 

 

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