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Una relazione privata

Regia di Frédéric Fonteyne vedi scheda film

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La recensione su Una relazione privata

di Lehava
5 stelle

Non si dovrebbero mai leggere le recensioni di un film prima di averlo visto.

E' una regola che mi sono sempre autoimposta. Per evitare fraintendimenti e preconcetti.

Ma, si sa, fatta la legge nasce l'inganno.

Così, in un fine agosto burrascoso, fortunatamente già trascorso, le righe altrui divennero per qualche giorno la mia piccola trasgressione. Ricercare, ragionate. Ne conseguì una visione cinematografica strana, carica di aspettative.

 

Un film non è un romanzo, almeno non completamente, scrissi. Le immagini, in qualche modo, limitano le interpretazioni. Non le azzerano, certo. Però le circoscrivono. Partendo poi da una linea critica già tracciata, l'esito naturale dovrebbe essere la conferma e condivisione del senso generale e comune.

Ma se così non fosse? E' un merito della pellicola (suggerire dubbi), oppure una carenza dello spettatore?

 

Mai leggere prima le recensioni! E se poi si è in disaccordo? Si cerca di piegare il proprio pensiero, riallineandolo. Ma quello sfugge, e tanto più lo si cerca di ricondurre sulla strada maestra (grande, ben asfaltata, e affollata) tanto più devia, magari anche per dispetto, su sentieri secondari poco illuminati, ed illuminanti.

Sconcerto, ammissione di mancanza o errore.

 

I titoli di testa ed i titoli di coda si presentano stilisticamente omogenei: immagini sfumate, indefinite, di esseri umani, fra la folla. Il commento musicale mi pare, sulle prime, completamente fuori luogo. Ma certo, io ho in testa la mia idea di "Una relazione privata", a quella idea tutto deve aderire. Non lo fa, la colonna sonora, e già, l'incongruenza stride. Le immagini si centrano: una donna, poi un uomo, vengono intervistati. Raccontano una loro esperienza comune, risalente a qualche anno prima. La donna, capelli scuri in un carré lungo, un filo di eyeliner preciso, minuta, graziosa se pur non giovane, sembra appieno a proprio agio: ma in fondo è tipico, del "sesso debole": convinte, a tratti, consapevoli, anche nei nostri errori. L'uomo ha forse qualche anno in meno, un fisico robusto, colori mediterranei. Appare più esitante. Si erano incontrati, tempo addietro, in un bar. Frequentatori di un "sito a tema" entrambi cercavano un partner con cui vivere una comune fantasia sessuale. Uno scambio breve di battute, un po’ pudico un po’ sfrontato, la "consumazione" in una camera di albergo (la cui porta si chiude alle loro spalle), il saluto successivo in strada. Cortese, quasi affettuoso. Tutto corretto e sereno. La relazione si protrae per un certo periodo, con reciproca soddisfazione, senza mutamenti o sviluppi: "regole" non prestabilite si sono venute naturalmente a creare: nessuna informazione personale (perchè dovrebbe?), neppure il nome (perchè dovrebbe?), ogni nuovo incontro come rinnovo di una libera scelta. Ma è un equilibrio difficile da mantenere. Perchè la nostra natura di essere umani ci spinge al confronto, alla curiosità, alla condivisione. E perchè la nostra cultura scinde il mondo in ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Non solo nelle azioni ma anche nei pensieri alle stesse. Non tanto nell'immediatezza quanto nella rielaborazione. C'è una dicotomia stridente, tra i due personaggi, tra volontà e dovere. Un dovere sociale e personale che vivono in maniera diversa perchè diversi i loro ruoli e le attitudini: più determinata lei, più attendista lui. Donna lei, uomo lui. Si può gioire di una liaison sessuale senza nessun preconcetto morale? Si può essere talmente appagati da non sentire l’esigenza di un coinvolgimento emotivo, o talmente liberi da ammettere di non volerlo minimamente? Si può soddisfare una fantasia e nella soddisfazione mantenere il desiderio? Alla ricerca di una risposta, è sempre l’elemento femminile il motore attivo della coppia (lei aveva messo l’annuncio, d’altronde), la protagonista chiede di poter consumare un rapporto intimo “normale”. La naturalezza è bandita: la pianificazione totale, l’eccesso di verbosità snervante. C’è attrazione? Forse. Complicità, confidenza, pure affetto. Ma l’amore?

L’amore è altro: entrambi lo sanno. Non circoscritto in un sala di te o in una camera d’albergo. Uno spazio indefinito sospeso irreale, un salto nel buio, l’infinito che sta dentro di noi. L’amore è impegno ed insieme abbandono. L’amore non chiede ma dona spontaneamente, nutre e lascia affamati, soddisfa ma soffoca.

C’è in entrambi una speranza sottile e nascosta di trovarlo, quell’amore. A tratti, pare di scorgerlo, fra i ritagli dei pochi silenzi e la tempesta di troppe parole, fra loro. Soprattutto a lei. Al punto da concedersi una “dichiarazione” vera a propria. Dove, ancora, tutto è sviscerato, puntualizzato, evidenziato. Con una compostezza e al contempo una precisione chirurgica, fastidiosa quanto la scena di intimità (l’unica mostrata). Talmente corretta, da sembrare falsa. Come se la protagonista la recitasse a sé stessa, nel tentativo di ritrovarla vera. Perché è più che mai la sua cultura di donna a domandarla. Lui non ha certo altrettanti condizionamenti: è un uomo, vive la relazione con il compiacimento della conquista, e la soddisfazione della libertà. Non è, di sua natura, uno spregiudicato. Discreto e accomodante, preferisce demandare ogni decisione. Ma nella sostanza, questa sua impescrutabilità e morbidezza (al contrario di una certa educata ruvidità di lei) lo rendono l’elemento forte della coppia.

La pellicola è questa: un duetto giocato su un registro leggero, una bourrée dove il battere sta a lei, e lui è più seconda voce (a tratti anche controcanto), consequenziale. Nei temi, ma essenziale nella delineazione della melodia.

L’amore è per sua natura drammatico e drammaturgico. Ne vuole essere evidenza, inutile ed ingenua, la parentesi/accadimento/rapporto tra l’anziano uomo colto da malore all’hotel ed la moglie. Su cui i protagonisti, seduti al tavolino del bar, sorridono. Perché estranei, lontanissimi, inconsapevolmente incapaci di comprendere.

Ecco perché, alla fine, di loro e tra loro, molto resta detto. Praticamente tutto, se non la fantasia sessuale di partenza. Perché? Per pudore? Certo che no. Per amore? Men che meno.

A mio avviso perché centro pulsante e unico cuore battente della loro relazione.

Che non è pornografica (Une liaison pornographique) nella misura in cui non c’è condivisione di dettagli sessuali né con l’intervistatore, né con il pubblico. Che non è privata (Una relazione privata) nella misura in cui c’è invece una condivisione approfondita di dettagli sia con l’intervistatore che con il pubblico. Che non è amorosa (An affair of love) nella misura in cui non si vede traccia di questo sentimento fra i due. Forse, semplicemente, una relazione sessuale.

Ciò che resta, fra lui e lei: una fantasia

 

Un film per nulla sentimentale, realista nel senso più arido del termine (certo partecipa del tutto l’ambientazione, la fotografia, il tono generale “minimal”), assolutamente contemporaneo. Con una sceneggiatura “labile” che lascia il messaggio generale un po’ sospeso, o frainteso.

Io ci ho visto un ragionamento sulla ipocrisia dei sentimenti. Sulla incapacità di ascolto di sé, sulla mancanza di consapevolezza profonda, sulla libertà come gabbia

 

Ottimi gli interpreti (sopperendo ad una mancanza di scrittura) a me è piaciuto soprattutto Lopez: sornione e spaesato. Decisamente meno bene la regia, forse poco coraggiosa, sicuramente ingessata, a tratti imbarazzata ed inconcludente. Colonna sonora (in verità presente soprattutto sui titoli; per il resto il film è troppo parlato per ammettere musica) adeguata nello stile, ma povera nella qualità.

 

Nel complesso, un lavoro che avrebbe potuto essere migliore. Tre stelle e mezzo 

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