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Mouchette - Tutta la vita in una notte

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mouchette - Tutta la vita in una notte

di ligeti
8 stelle

Alla quattordicenne Mouchette, la vita non ha niente di bello da offrire. Vive in una misera casa in un paese agricolo della Provenza con il padre ubriacone che la maltratta continuamente e la madre gravemente ammalata e deve prendersi cura del suo fratellino ancora in fasce. A scuola subisce i soprusi degli insegnanti e dei suoi compagni, cui reagisce incattivendosi con dispetti infantili. Una notte incontra un bracconiere epilettico che lei soccorre in una delle sue crisi, ma che in seguito la violenta. Tornata a casa, sua madre muore e gli abitanti del paesino si lasciano andare a biechi commenti sulla violenza da lei subita. Si vestirà di un vestito bianco e si getterà rotolando, quasi per gioco, nelle acque di un fiume. Robert Bresson è il regista della semplicità e dell’essenzialità; in ogni suo film non c’è mai niente di “superfluo”, tanto a livello contenutistico che formale. Per Mouchette si basa su un romanzo di Georges Bernanos e lo mette in scena con il suo consueto rigore stilistico, che non lascia spazio ad alcun tipo di compartecipazione emotiva. Senza musica — se si eccettua il Magnificat di Monteverdi — e riducendo al minimo indispensabile i dialoghi. La piccola protagonista è, al pari dell’asino del precedente Au hasard Balthazar, il simbolo di un’innocenza rovinata dall’ingiustizia del mondo che si difende come può e finché può e che non ha alcun modo di ribellarsi al mondo crudele in cui è costretta a (soprav)vivere. Nel corso di tutto il film la vediamo totalmente rassegnata a un’esistenza di pura routine e sopportazione che ha ben poco a che vedere con quella che si suole definire “vita”: il suo destino già scritto in partenza è un destino di sopraffazione, esattamente pari a quello cui sono condannati gli animali che vengono cacciati dai bracconieri. Pur essendo nient’altro che una bambina, le è negata qualsiasi forma di gioco: nell’unica scena del film in cui la vediamo divertirsi arriva subito puntuale il padre a picchiarla. A soli quattordici anni è costretta a comportarsi già da persona adulta, a badare al fratellino facendogli da mamma. Il suicidio finale è, di fatto, l’unico atto veramente libero (e quindi, paradossalmente, vitale nonché giocoso) che le sia concesso. Il pessimismo di Bresson è qui radicale, non c’è alcun tipo di commozione o pietismo nei confronti dei suoi personaggi, ma solo un’oggettiva presa di coscienza del loro destino. Un tipo di cinema che può, a seconda della propria sensibilità, allontanare o affascinare — i fratelli Dardenne si sono palesemente ispirati a Mouchette per il loro Rosetta, mentre Bertolucci ne ha citato il finale in The Dreamers — ma il cui valore cinematografico resta, in ogni caso, indiscusso. VOTO: 4,5/5

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