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Il collezionista di carte

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su Il collezionista di carte

di ROTOTOM
8 stelle

Un grande film classico, ronzante e disilluso.

Come Quando Fuori Piove

 

Willam Tell giocatore d’azzardo di professione, dopo una permanenza ordinata nelle patrie galere, scivola di casinò in casinò, di stato in stato, guadagnando quello che gli serve per vivere la sua vita nomade. Una vita un pelo sotto la linea di galleggiamento che gli permette di essere invisibile, apparire quel tanto che basta, come la vibrazione dell’aria smossa dall’apparire di un ectoplasma. Quello che William vuole essere, di fatto.
William conta le carte. Come tutti gli esseri non di questo mondo ha un potere che altri (forse) non hanno, capacità affinata nelle lunghe giornate passate in carcere. E come tutti gli esseri non di questo mondo centellina quel suo sapere per non essere identificato, svanendo nel momento stesso in cui la controparte che detiene il vantaggio sul tavolo da gioco, il banco, si accorge che le piccole, ripetute vincite che hanno formato il gruzzolo di quel giocatore grigio, inespressivo ma cordiale, non sono solo frutto di una serata fortunata.
Il progetto di dimenticare venendo dimenticato, sta andando alla grande in effetti. Il piano funziona, il ritmico scandire delle giornate tutte uguali, in motel fotocopia, giocando mani ritmiche, meccaniche in grado di scandire come un metronomo il tempo senza permettergli di pensare ad altro, questa ritmica rassicurante da galera sta tenendo a bada i fantasmi. E lui come un fantasma scivola tra i corpi, tra le luci ipnotiche, accarezzando i panni dei tavoli delle sale da gioco accompagnato da una musica elettronica, ronzante come un acufene che lo isola in una bolla elettrostatica dove ogni altro rumore è bandito.

Oscar Isaac, Tiffany Haddish

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac, Tiffany Haddish

 

I personaggi di Paul Schrader si muovono lenti, immersi in un tempo indefinito, lattiginoso. I personaggi di Paul Schrader sono anche ai margini della società, qualsiasi essa sia. Non sono dei freak ma non sono neppure figli del pensiero comune, sono attratti dalla marginalità ma ricordano per riflesso una normalità che non hanno mai vissuto. Ostaggi di un archetipo onirico della vita, anelano a trasformare la loro disabilità sociale in un’adeguatezza sbilenca, provvisoria. Una distorsione del flusso degli eventi esistente finchè essi stessi esistono, creatori di un universo privato regolato da assiomi personali, leggi fisiche che accarezzano l’utopia dell’esistenza, sguardi che mettono a fuoco via di fuga aliene al resto del mondo.

L’esistenza dei personaggi creati da Paul Schrader è puntellata da tutto ciò che manca. Un vuoto esistenziale che facendo pressione omogenea su ogni aspetto della loro vita, li tiene in piedi, attivi. Barcollanti ma attivi. Solo quando un fattore esterno riempie uno di quegli alvei di nulla si crea uno squilibrio che fa precipitare gli eventi nel caos.

 

Nel caso di William Tell, interpretato da un sonnambulo Oscar Isaac, il Card Counter del titolo originale, è l’intromissione nella sua vita di una scheggia rimbalzata dal suo passato, il giovane Cirk (Tye Sheridan), un grumo di orrore personificato in un’idea di vendetta che ha preso vita come una forma sintetica, aliena, ottusa e autodistruttrice. Cirk si è annullato totalmente nel nome del suo obiettivo, il colonnello Gordo (William DaFoe), ex torturatore doc responsabile della morte del padre. Cirk rappresenta il risveglio della coscienza di William, un’opportunità di redenzione dalle atrocità commesse in passato, quando soldato in prigioni sconosciute scoprì un insolito talento nella pratica della tortura. Guarda un po’, con il mentore personificato nella mefistofelica figura di Gordo.
William/Guglielmo Tell, eroe leggendario svizzero che si guadagnò la salvezza dal cattivo balivo locale tirando una freccia sulla mela posta sul capo del figlio, la freccia la scaglia sul capo del "figlio" putativo Cirk, confida nella sua fiducia, che stia fermo. Solo così avrà la salvezza sua e la freccia non trafiggerà il capo del figlio. Era un giocatore d'azzardo, dopo tutto il buon Tell. E William scommette tutto su di Cirk, ma le carte si possono contare, sottomettere, le persone no.  

L’altra, classica spallata alla vita di William viene data dall’amore che si materializza in un’anima speculare alla sua. La Linda (Tiffany Haddish) come William, vive in attesa, galleggia tra i tavoli da gioco, in sospensione energetica finché il suo protetto non lascia il tavolo. Vincente o perdente che sia, si riaccende per aggrapparsi ad anonimi bar tutti troppo uguali, in casinò che giganteggiano come astronavi in paesaggi urbani desolanti.

Con La Linda e Cirk si forma una strana famiglia disfunzionale che tende all’implosione già dalla prima inquadratura.  Una crescente tensione avviluppa il terzetto, una forza di attrazione/repulsione destinata inclinare il piano degli eventi verso una risoluzione inevitabile. Come gli antieroi del cinema classico, categoria alla quale The Count Counter appartiene in pieno, William fa ciò che deve e che sa essere inevitabile, perché non si può permettere il lusso di scegliere. Una volta poteva, ora no. Va contro al martirio con religiosa abnegazione attendendosi la doverosa punizione capace di mondarne i peccati.

 

L’aspetto della religione anche quando non dichiarata apertamente, è presente in tutto il cinema di Schrader. Il rapporto con il mondo è sempre trattato con lo sguardo del credente nei confronti del Dio che egli ha scelto di prendere dentro di sé. E che ha scelto di onorare. E’ un rapporto religioso quello che lega William al gioco, alle cattedrali nel quale si snocciola la funzione dell’azzardo. L’officiante, il banco. E’ ciò che lo tiene in vita, quello in cui crede e che lo tiene al sicuro al di là di qualsiasi evidenza.

Se non è fede questa.

Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac

 

The count counter è un film fastidioso, come quel ronzio elettronico che forma parte integrante della colonna sonora e che ricorda che ci sono cose che si avvertono senza che altri le sentano, che possono modificare la percezione della realtà. E’ un film fastidioso perché è un film che è pienamente inserito nella nostra contemporaneità fatta di falsi miti, di luoghi senza storia e cultura elevati a cattedrali professanti fedi estemporanee. Riflette metaforicamente la nostra vita vuota e rancorosa, fatta di routine e riti e meccanismi che impediscono di esercitare in coscienza il libero arbitrio ma che al contempo ci proteggono da colpi di testa deleteri per la prosecuzione del grande trenino festoso dell’umanità che si rigenera.

 

Come William ha bisogno della sicurezza dell’inviolabilità della prigione, unica cosa certa in una società liquida che mischia tutto senza prendere alcuna forma, e la cui sofferenza ricercata con scientifica, amorale abnegazione ne rappresenta il viatico, anche noi riusciamo attraverso il fastidio delle immagini, così chiare, nette, inequivocabili, scandite da un classicismo mai così moderno, a riconoscere ciò che siamo.

Perché il cinema ha in sé questa grande, immortale, anima: che ci fa riconoscere la realtà che viviamo attraverso la sua rappresentazione. Uno slabbro che serve a smontare per un attimo quella meccanica routine della quale siamo ingranaggi e regalarci la prova visiva che siamo ancora vivi.

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