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Solamente nero

Regia di Antonio Bido vedi scheda film

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La recensione su Solamente nero

di Furetto60
6 stelle

Giallo anni settanta, non originale, ma piacevole

 

 Stefano D'Arcangeli, alias Lino Capolicchio, è un giovane insegnante universitario, afflitto da disturbi nervosi e da spaventosi incubi; per distendersi, si concede una vacanza nel luogo natio, un'isola della laguna veneziana ove il fratello Don Paolo esercita il sacerdozio. Tuttavia, quello che succede certo non gli ridà serenità; al suo arrivo si verificano una serie di delitti efferati; Don paolo assiste all’omicidio di una sedicente medium adusa ad effettuare delle sedute spiritiche con il conte Mariani, ricco nobile pedofilo e omosessuale, il dott. Aloisi ambiguo medico condotto e la sig.ra Nardi, ostetrica abortista che nasconde in casa un figlio schizofrenico. A seguire il prelato inizia a ricevere lettere minatorie, mentre tutti i sodali della spiritista uccisa vengono a loro volta eliminati; la polizia brancola nel buio, Stefano s’improvvisa detective e indaga con l’aiuto di Sandra un’arredatrice, con la quale intreccia una relazione sentimentale. Diventa rivelatoriala scoperta della macchina da scrivere utilizzata per la stesura delle lettere minatorie, in cui una t difettosa tradisce indiscutibilmente la fonte e l’autore e altro elemento che porta Stefano alla soluzione è lo studio di un quadro riproducente il vecchio delitto di una ragazza, uccisa in un prato, qualche anno prima. Niente di nuovo sotto il sole, il film diretto da Bido comprende quasi tutti i consueti elementi dei classici, da “la casa dalle finestre che ridono” di Avati a Chi l'ha vista morire ” di Aldo Lado; la colonna sonora composta da Stelvio Cipriani è suonata dai Goblin. Il quadro, metafora di un episodio del passato, richiama “lo schema” di “L’uccello dalle piume di cristallo” di Argento. La risoluzione del caso ricorda “Non si sevizia un paperino “di Lucio Fulci”. Il finale è un dichiarato omaggio a “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock. L’opera che dunque è decisamente derivativa, possiede tuttavia una sua personalità e un  innegabile “appeal”, a partire dalla tecnica con cui viene realizzata la sequenza di apertura, poi le atmosfere sono di grande suggestione, grazie alla location, Venezia sotto il cielo plumbeo, nella sua bellezza decadente, è magneticamente e sinistramente fascinosa; la struttura narrativa è tipica dei thriller anni settanta; diverse le tematiche, in particolare i vizi e i passatempi squallidi e scellerati, cui si intrattengono persone ricche e annoiate, taciuti in nome di un’omertà, che talvolta caratterizza la piccola provincia, tollerando nefandezze e nequizie, purchè restino segrete, in nome del “si fa, ma non si dice”. Stefano è l’elemento estraneo, dunque destabilizzante, che fa emergere il marcio annidato nella comunità: il protagonista attraversa le calli di Murano, osservato con malcelata diffidenza dai residenti da dietro i vetri delle loro finestre, in quelle stanze si nascondono scheletri che il regista, con maestrìa, evoca ma non mostra. Datato, ma comunque interessante

 

 

 

 

 

 

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