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La cura

Regia di Francesco Patierno vedi scheda film

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La recensione su La cura

di pazuzu
7 stelle

Patierno resta volutamente vago nel fornire punti di riferimento, specie a livello temporale, favorendo a sua volta una assimilazione automatica tra la peste ed il covid-19, mai nominato ma sempre ben presente nella testa degli attori e in quelle di chi osserva quella Napoli così vuota e spenta, avvolta in un grigiore spettrale.

 

 

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2022 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

La Cura, di Francesco Patierno, nasce come adattamento contemporaneo de La Peste di Albert Camus, ma, a giudicare dalle parole del regista stesso, la sua forma e la sua direzione le ha prese in corso d'opera, quando durante il primo lockdown del 2020, all'inizio delle riprese, si convinse che anche raccontare ciò che stava accadendo alla troupe potesse dare qualcosa allo sviluppo narrativo.
L'intenzione è quella di far confluire via via le linee nella narrazione, favorendo uno scivolamento impercettibile e inesorabile degli attori nei personaggi di Camus. Alle telecamere visibili in scena che, in una delle prime sequenze, riprendono Francesco Di Leva che nel ruolo di Bernard accompagna la propria moglie al treno per andare fuori a curarsi, fanno da contraltare quelle che accolgono Francesco Mandelli che giunge da Milano per prendere parte alle riprese, o Alessandro Preziosi che suona il piano nell'albergo, entrambi nei panni di loro stessi: la percettibilità delle telecamere sfumerà man mano che Mandelli collimerà con il proprio Rambert e Preziosi con il proprio Tarrou.

 

 

Patierno resta volutamente vago nel fornire punti di riferimento, specie a livello temporale, favorendo a sua volta una assimilazione automatica tra la peste ed il covid-19, mai nominato ma sempre ben presente nella testa degli attori e in quelle di chi osserva quella Napoli così vuota e spenta, avvolta in un grigiore spettrale. E lungo il filo rosso che idealmente collega l'Algeria del secolo scorso all'Italia della pandemia, fornisce una lettura lucida, forse un po' statica - per via della provenienza letteraria - ma mai eccessivamente verbosa dello spirito di resilienza umana: accoglie il grido disperante del prete, che cerca di dare un senso al numero crescente di morti vittime del 'Flagello di Dio' invocando un atto di fede più irrazionale che mai, poi si accosta alle parole del medico, quando si augura che la gente preghi meno e si rimbocchi di più le maniche per continuare a combattere. Quel che conta è reagire e resistere, perché, come si evince dal discorso accorato del figlio del pubblico ministero (schifato dal cinismo con cui suo padre mandava la gente alla forca) è nei momenti nei quali si avverte forte il senso di perdita e nei quali la solitudine si fa asfissiante, che gentilezza, amicizia, empatia e solidarietà, si ergono a barriere primarie contro la malattia e la morte.

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