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Li chiamarono... briganti

Regia di Pasquale Squitieri vedi scheda film

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La recensione su Li chiamarono... briganti

di lamettrie
10 stelle

Film epico: ne abbiamo pochi epici, validi sulla nostra storia, se non sui perdenti (questo deve far riflettere). Storicamente robusto: è abbastanza anomalo che abbia ricevuto tutte queste critiche. La storia, almeno dal punto di vista dei meridionali di quel quinquennio (1861-65) è andata effettivamente così. Questo film è criticato in quanto revisionista, ma in realtà qui quell’aggettivo è un onore: perché mira a scalzare la versione ufficiale sul Risorgimento al sud. Dove passa la menzogna di stato, è giusto ristabilire la verità, peraltro con un’opera di questo alto livello artistico, e storico assieme. L’ignoranza che lo stato ha voluto far aleggiare sulla nostra unificazione, con tutte le favole sulla concordia degli eroi, va conosciuto per quell’inganno che è: Garibaldi e Cavour si odiavano, come si odiavano Mazzini e Vittorio Emanuele II… I democratici, repubblicani da una parte; e dall’altra parte i conservatori, che han fatto di tutto per mantenere la disuguaglianza a svantaggio di coloro che privilegiati non erano, per nascita e censo. Conservatori che alla fine hanno potuto dire di avercela fatta, purtroppo.

Poi sotto il profilo estetico il meridionale Squitieri (di Napoli) ha fatto un lavoro splendido, oltre ad averlo fatto anche su soggetto e sceneggiatura, che è completamente farina del suo sacco. Intenso per il sentimento, autentico, viscerale. Il meglio della napoletanità è qui espresso, interpretato ad esempio da Lina Sastri. E poco cambia se quel brigantaggio è stato più un fenomeno lucano e montano, piuttosto che napoletano, o urbano, o marittimo (e questo inno all’orgoglio e alla dignità rispecchia quanto accaduto nella realtà: e getta una luce notevole sulla Basilicata, così ingiustamente sottovalutata).

Notevole è la denuncia del grande errore di Garibaldi, quello che più di tutti ha inciso sull’infelice unificazione italiana: aver ingannato i democratici, promettendo la lotta per i diritti, illudendosi che tali diritti si sarebbero potuti ottenere con i Savoia. Una grave ingenuità politica di un Garibaldi che era tanto un generale straordinario, quanto un politico di mezza tacca: è stato lui, democratico, a fregare i democratici di tutta Italia, interrompendo un percorso virtuoso che stava crescendo, pur in mezzo a fallimenti e ad altre contraddizioni. Il tutto a favore di un potere conservatore e ingiusto come quello piemontese (che comunque tanti aspetti positivi li ha avuti, seppure minoritari), tutto a favore dei nobili e dei grandi borghesi del nord (e ricordare tale verità storica, peraltro assodata pur con grave ritardo, qui è un lombardo doc).

«Garibaldi? Si sta peggio di prima». «La gente ha fame, di pane e di giustizia. Garibaldi non  ha mantenuto nessuna delle promesse che ha fatto. Il commercio con l’estero è tutto chiuso, tanti chiudono» «Abbiamo fatto la rivoluzione, perché ci avevano promesso la repubblica… ma ci hanno cambiato un re con un altro… tasse, carcere, fame, ci hanno fatto più schiavi di prima». Riguardo alle fucilazioni piemontesi «questi sono peggio dei borboni». «Abbiamo perso gli appalti del governo borbonico, e questi non arrivano mai… qua non si campa più (e a dirlo è un’elite di ricchissimi meridionali, ndr)… ci considerano africani». «Seminare? Ma dove? La terra è stata bruciata. I figli fucilati. Abbiamo un solo destino: o briganti, o emigranti (mentre se ne vanno nella miseria, ndr)».

Nella prima guerra civile italiana, come è giusto chiamarla (la seconda è quella della resistenza), Squitieri giustamente non fa sconti all’elite di età borbonica, ovvero preunitaria: indimenticabile, purtroppo, la scena della bestialità con cui un ricco orina su una ragazza. «Rivolte contadine scoppiano ovunque, ma i nostri fratelli non hanno né armi né capi» dice un notabile: fa rabbrividire la dizione “fratelli”: a dire ciò sono potenti locali, che il popolo lo hanno sottomesso sempre. Si parla di “esercito del popolo”, ma strumentalizzano il popolo, per fare il loro interesse. Il prete parla sempre di poveri da difendere, ma la sua Chiesa ha sempre aiutato ad opprimere i poveri, al di là, della tradizionale falsa retorica.

Grande è anche l’affresco della ferocia e dell’arroganza dei piemontesi, da conquistatori di colonie, sprezzanti e razzisti. Requisiscono tutti i beni, per soffocare i rifornimenti ai briganti: l’economia è distrutta. Tremenda la scena della rappresaglia contro la popolazione.

Terrificante è l’adozione dei metodi di Lombroso, che proprio lì contro i briganti ha diffuso sul campo per la prima volta le sue farneticanti teorie: dall’aspetto si possono cogliere infallibilmente gli indizi di criminalità.

Splendida è la restituzione del militare Cialdini, incaricato delle repressione: «Siamo militari, non c’è spazio per la retorica». Quando sparano su un vecchio pastore, che brigante non era, con un evidente eccesso di repressione, può dire al sottoposto Franco Nero (memorabile nel denunciare, e cercare di limitare, gli abusi del potere che lui stesso rappresentava), sentendo lo sparo: «ecco, è già tutto finito». «La guerra è un atto di forza che non prevede alcun limite, quali che siano le conseguenze». Alla fine sul famoso brigante Ninco Nanco sparano anche se questi si è arreso al loro comando, contro ogni regola.

Indimenticabile è pura la resa del più famoso tra tutti i briganti, Carlo Crocco, il protagonista del film. Questi dice a un nobile dell’esercito: «I tuoi avi hanno tramandato la virtù di condurre i tuoi uomini al macello… turberò i sonni di questi nobili prepotenti, e spezzerò questa infamia». «Per quelli come voi, la violenza è un diritto. Per quelli, come noi, è un delitto».

Assolutamente lodevole è poi la fotografia della soluzione del problema, che effettivamente ci fu, in particolare con il lungo e disastroso (ma non disastroso per pochi ricchi, onesti o meno) governo di De Pretis (’76-’87): il trasformismo, con cui i potenti di prima hanno mantenuto i loro privilegi iniqui, scendendo a patti con gli invasori piemontesi/italiani. Il Gattopardo l’aveva detto a suo modo, nel famosissimo detto «Che cambi anche tutto, purché non cambi niente» E sempre a danno delle masse, che ingiustamente oppresse erano sotto i Borboni, e tali sono rimaste nell’Italia unita. «L’Italia è il paese degli accomodamenti». «Il sindaco è sempre lo stesso. Prima se la faceva coi Borboni, ora coi liberali, ma non è cambiato niente».

Lancinante è poi l’evidenza del male dei venduti, gli infiltrati, spie ben ricompensate, come il brigante pentito Caruso: l’opportunismo è sempre stato appagante in Italia.   

Da brividi è la scena finale, con il canto della corifea Lina Sastri (per quel che si può capire, essendo in napoletano stretto), a celebrare la dignità del sud, almeno laddove ha tentato una reazione contro ingiustizie vecchie e nuove. «Gli uomini passano, il sopruso rimane…Lo sfregio diventa storia… L’Italia si accresce con il rancore… cittadini senza nessun onore… la terra lontana (per gli emigranti)… i bastimenti sono mezzi per scordare i torti e i tradimenti…Resterà l’arte di campare, e di non credere più a nessuno; di imbrogliare… ladri, ruffiani, preti e ciarlatani… i nipoti di briganti saranno carabinieri… canto per i tanti che hanno avuto dignità, canto per chi è stato brigante».

Sotto il profilo cinematografico, tante sono le scene spettacolari (assedio della villa…). Bellissimi gli interni e  gli esterni, la fotografia e la musica. Epica la scena finale in mezzo alla neve, con i cavalli.

Ottime le figure femminili, che si immolano dopo avere partecipato e rischiato a lungo, con un protagonismo che a loro sin lì in Italia era stato negato da secoli, soprattutto a motivo della misoginia cattolica. Grande in generale il cast, dove spiccano le tanti parti minori di Giorgio Albertazzi e Remo Girone (ecclesiastici), o Claudia Cardinale, e i già citati Franco Nero e Lina Sastri, oltre a ottimi caratteristi del sud, come Franco Iavarone e Carlo Croccolo.

Un grandissimo film, distrutto ingiustamente dalla censura repubblicana, che 20 anni fa (si era nel ’99) è riuscita a fare sparire il film dalle sale in men che non si dica, con un tempismo ben sospetto, rispetto ai consueti tempi laschi e lunghi dell’amministrazione tricolore, così stranamente disattenta in casi ben più gravi. Chissà poi se è un caso che non ne sia mai stata fatta una versione VHS o DVD. 

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