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Illusioni perdute

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Illusioni perdute

di laulilla
8 stelle

Il film è tratto da Illusions perdues, il romanzo autobiografico nel quale Honoré de Balzac rivive, nel personaggio di Lucien, la propria giovinezza poverissima, il proprio “sogno parigino”, lontano da Angoulême e dalla sua Charente.

La capitale, in piena Restaurazione antinapoleonica, era dominata da una rabbiosa nobiltà controrivoluzionaria che aveva ritrovato voce, potere e ricchezza e che, nella sua voglia di vendetta, esercitava senza scrupoli la propria egemonia ideologica.

 

La restaurazione e la nascita dell’industria culturale

Nata da poco, l’editoria, controllata da critici compiacenti, era in grado di distruggere scrittori, poeti, giornalisti: chiunque non si mostrasse sufficientemente duttile per adattarsi al nuovo pesantissimo progetto reazionario. L’industria culturale era affidata ad ambigui personaggi: critici privi di ogni principio morale, ed editori-tipografi, che, disponendo dei macchinari per stampare velocemente, potevano diffondere quotidianamente volantini e gazzette satiriche diffamanti, mentre attori, raccolti dalla vita dei boulevard, dei caffè e dei bordelli, mettevano  in scena alla sera i loro spettacoli popolari, affollati da finti spettatori che, organizzati e pagati allo scopo, applaudivano, fischiavano e provocavano gazzarre determinando il successo o la rovina degli autori, in un gioco al massacro senza fine che intimidiva i dissidenti e che, diffondendo  qualunquismo e sfiducia, rendeva più forte la richiesta di ordine.

 

Il film

 

Leggendo con gli occhi di oggi il romanzo balzacchiano, Xavier Giannoli ripercorre nel film le vicende di un giovane provinciale, orfano dall'infanzia, Lucien Chardon (Benjamin Voisin) che alla bella e insoddisfatta nobildonna Louise de Bargeton (Cécile De France) aveva dedicato le proprie poesie d’amore, raccolte successivamente in un libro che la stessa Louise aveva presentato al pubblico dei nobili di Angoulème, amici - scandalizzati – dell’anziano marito, e, ovviamente, avari di applausi.

 

Dopo questo insuccesso Lucien aveva lasciato Angoulême alla volta di Parigi, la capitale che egli riteneva ricca di fermenti culturali, dove – ne era sicuro – nei salotti più importanti sarebbe stato accolto a braccia aperte dai raffinati intellettuali e dai critici innamorati della bellezza. A questo scopo, aveva assunto il cognome materno, diventando Lucien de Rubempré, millantando perciò un titolo nobiliare senza il quale gli sarebbe stato impossibile frequentare gli ambienti che gli stavano a cuore.
Alla scuola del giovane critico Etienne Lousteau (Vincent Lacoste), egli aveva appreso, invece, l’arte dell’essere cinico, necessaria alla sua scalata sociale e si era messo in contatto con l’editore Dauriat (Gérard Depardieu), rozzo, ma pieno di soldi e capace di far funzionare le nuove macchine per la stampa, indispensabili all’uscita dei giornali e delle gazzette, utilissimo strumento di potere e di controllo, cui pareva opporsi Nathan (Xavier Dolan) poeta e scrittore di talento.

 

 All’amore per la dolce e materna Louise, egli aveva affiancato l’attrazione per la giovane Coralie (Salomé Dewaels), prostituta dei boulevard che, per aiutarlo senza comprometterlo, aveva voluto impegnarsi come attrice di teatro, ottenendo dapprima molti e graditi  applausi, ma in realtà esponendosi al più che probabile ludibrio della claque, orchestrata dal disegno segreto della Marquise d’Espard (Jeanne Balibar), indomabile reazionaria, ipocrita custode della virtù di Louise de Bargeton e decisa a rovinare per sempre Lucien.

 

 

 

 

Il regista ha trasformato il romanzo di Balzac – di 800 pagine – in un film di 155 minuti senza alterarne complessivamente il significato, traducendolo e rendendolo, anzi,  un gradevole e classico racconto cinematografico, ricco di citazioni dai film di Scorsese e di Kubrick -principalmente - e impreziosito da bellissime musiche (da Rameau a Vivaldi; da Schubert a Johan Strauss...)

 

Il racconto dello scrittore diventa dunque un singolare  film in costume, nel quale si avverte l’attenzione di Giannoli alla perenne  modernità delle sue pagine nell'analisi delle dinamiche sociali nei tempi di crisi, quando al dolore e alle umiliazioni di chi ha drammaticamente visto l’impossibilità di cambiare il mondo, si oppone  rabbiosa la volontà di ripristinare vecchi privilegi e vecchie discriminazioni, cavalcando, e favorendo senza alcuna remora, lo scontento diffuso per la fine delle illusioni e il disincanto. Ora come allora.

Se è questo, come io credo, il senso della rilettura di Balzac da parte del regista, il film è molto convincente e suscita la nostra ammirazione, nonostante alcuni difetti, inevitabili, data la sua lunga durata. I personaggi, infatti, sono ben disegnati e gli attori, con eccezionale bravura, inverano, con la loro interpretazione, gli uomini e le donne che vivono sulla propria pelle le contraddizioni del loro tempo, i momenti dell’eterna Comédie humaine nella quale tutti – più o meno consapevolmente e più o meno infelicemente – sono protagonisti. 

 

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