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Il corridoio della paura

Regia di Samuel Fuller vedi scheda film

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La recensione su Il corridoio della paura

di Baliverna
10 stelle

Per scoprire l'assassino di un internato e giungere così al premio Pulitzer, un giornalista si finge pazzo (incestuoso) e si fa internare in manicomio a sua volta per indagare dall'interno. Pessima idea.

Bellissimo questo film di Fuller, anche se non piacevole o facile. Secondo me si può accostare senza grandi problemi a "Cruising" di William Friedkin, per il tema dell'infiltrato e della progressiva contaminazione dall'ambiente che presumeva di dominare. Tra parentesi, l'avevo visto tanti anni fa, ma tutt'altro che dimenticato.
E' uno di quei film dove tutto appare perfetto, senza rifletterci troppo: dalla recitazione, alla regia, alla fotografia, ai temi trattati. Suscita una forte partecipazione e coinvolgimento, tanto che le sofferenze e lo smarrimento del protagonista diventa quasi quasi quelli dello spettatore. Non lo definirei un film violento in senso tradizionale, quello cioè della violenza fisica; è però violento nel senso della pena psichica e psicologica che subisce il personaggio. Io mi sono trovato quasi a soffrire o a provare un forte disagio quando il protagonista, dopo vari shock e indebiti trattamenti psichiatrici, si trova impedito nella parola. I suoi sforzi mentali per formulare una semplice frase hanno agito su di me quasi come una tortura psicologica. L'idea di non riuscire più a parlare è qualcosa che mette angoscia e panico. Ci sono anche altri momenti, tuttavia, particolarmente ruvidi e violenti nel senso già citato: come il trattamento dell'elettroshock (che ritengo una follia della scienza degenerata) o l'aggressione da parte delle ninfomani, momento lontanissimo da qualsiasi fantasia erotica maschile.
Se John Barret e colleghi sono vittime dell'ambizione e della smania da scoop tipica del mondo del giornalismo, la fidanzata (una bellissima Constance Towers) appare assai più posata e dotata di buon senso. Però - ahinoi - subisce il ricatto sentimentale da parte di lui: se non mi aiuti non mi ami, e comunque andrò avanti da solo, e forse mi farò male per colpa tua. Lei avrebbe potuto essere in realtà un freno per i bollenti spiriti di tutti, ma cede alla micidiale tentazione e finisce per collaborare al folle piano. Una volta dato il LA, la sinfonia inizia e procede inarrestabile fino alla fine.
Barret è vittima, oltre che di arrivismo smodato, anche di superbia, perché presume di gestire e dominare la situazione in cui si troverà coinvolto. E sappiamo dalla Bibbia come la superbia preceda la caduta.
Tra gli internati del manicomio - scusate, ma non amo gli eufemismi - troviamo una serie di personaggi che rispecchiano i principali problemi e storture della società americana, e questo evitando benissimo ogni tono didascalico o illustrativo. Ciascun personaggio, infatti, è credibile, è interpretato molto bene, e in qualche modo suscita compassione. Nessuno di loro è pazzo per natura; tutti sono impazziti perché, un po' più fragili degli altri, sono stati schiacciati da qualche aspetto decisamente sbagliato della società in cui vivevano.
Bellissima ho trovato anche la fotografia in bianco e nero (con alcune sequenze oniriche a colori) e le inquadrature sghembe, o dal basso verso l'alto.
La didascalia di apertura tratta da Euripide, se pure passibile di più interpretazioni, è chiarissima e si traduce così: Dio rende prima pazzo colui che desidera distruggere. Mi ricordo molto bene come avessi passato molto tempo a rimuginare sulla didascalia come fu tradotta nella versione italiana dell'epoca: "Gli dei rendono pazzi coloro che vogliono perdere". Oltre che tradotta male, è anche ambigua nell'analisi logica, e quindi del senso. Il soggetto di "vogliono", cioè, è "gli dei" o "quelli resi pazzi"? E' evidente come il senso cambi, ma pure resti enigmatico in entrambe le possibilità. Pensavo che fosse un tocco enigmatico del regista, ma in realtà il problema non esisteva, perché era solo l'opera di un traduttore pasticcione.
In ogni caso questo "Corridoio della paura" è un capolavoro, e forse il migliore film sui manicomi (pur tra altri degni esemplari).

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