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Il male non esiste

Regia di Mohammad Rasoulof vedi scheda film

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La recensione su Il male non esiste

di supadany
8 stelle

Troppe volte, la distinzione tra giusto e sbagliato fa a pugni con la realtà, scontrandosi con la necessità di non incappare in problemi individuali. D’altronde, è sempre più facile seguire la corrente, adeguandosi al sistema, per quanto possa essere soffocante e difficile da accettare, anziché andare controvento, tanto più quando i rischi sono elevati, evidenti e noti, senza lasciare spazio a qualsiasi tipo di dubbio in merito.

Fortunatamente, se la maggioranza giace silenziosa senza proferire neanche un minimo cenno di disappunto, c’è sempre chi – nonostante tutto - non si arrende, chi auspica un futuro diverso e vorrebbe renderlo sempre più prossimo, pur sapendo di imbarcarsi in una battaglia ai limiti dell’impossibile.  

Con Il male non esiste, il regista Mohammad Rasoulof realizza un’opera di colossale impatto, dai fondamentali inflessibili, confermando e cementificando quelle posizioni che in Iran lo hanno condannato più volte dal 2010, fino a impedirgli di uscire dal Paese nel 2017.

Heshmat (Ehsan Mirhosseini) trascorre giornate ordinarie con la moglie Razieh (Shaghayegh Shourian) e la piccola Zahra. È un uomo gentile con tutti, che di notte lavora in un carcere, dove esegue le condanne a morte schiacciando un semplice pulsante.

Pouya (Kaveh Ahangar) è un militare di leva che non ha alcuna intenzione di giustiziare un condannato. Dopo che ogni tentativo di evitare questo ingrato compito svanisce nel nulla, decide di ribellarsi cercando una fuga rocambolesca, a dir poco complicata, che non ammette ripensamenti.

Durante un permesso, Javad (Mohammad Valizadegan) si reca dalla famiglia di Naanà (Mahtab Servati), la sua ragazza, per chiedere di sposarla. Farà una scoperta che cambierà radicalmente le prospettive di vita che aveva programmato con cura e ardentemente sognato.

Darya (Baran Rasoulof – esordiente, figlia del regista) rientra dalla Germania, dove studia, richiamata dalla sua famiglia, incontrando Bahram (Mohammad Seddighi Mehr), un uomo che le è sempre stato vicino. La ragazza intuisce subito che c’è qualcosa di strano, una sensazione che verrà confermata da una rivelazione destinata a sgretolare le certezze costruite nel corso della sua ancora giovane vita.

 

scena

Il male non esiste (2020): scena

 

Incoronato con l’Orso d’oro a Berlino nel 2020, Il male non esiste valorizza il talento e il coraggio di Mohammad Rasoulof, qui in stato di grazia, un autore ingiustamente ignorato dalla nostra distribuzione (è disponibile solo L’isola di ferro, mentre non vi è traccia nemmeno dei suoi film celebrati nei festival, come A man of integrity che trionfò a Cannes nella sezione Un certain Regard), che anche in questo caso è passato sottotraccia alla sua uscita in sala (attualmente, il film in questione è disponibile in dvd e su varie piattaforme streaming).

Un film combattivo e immancabile, suddiviso in quattro ritratti, con trame indipendenti ma interconnesse/accomunate per argomento (la pena di morte), complementari per come inquadrano la situazione, in parte sovrapponibili per le vicende che incombono sui protagonisti (è più che possibile, forse anche auspicabile e voluto, rintracciare dei nessi diretti/indiretti, degli interscambi tutti da ricostruire).

In pratica, sono quattro mediometraggi che, con a disposizione circa 35 minuti cadauno, denotano una capacità di sintesi semplicemente magistrale, con introduzioni fulminee, sviluppi condensati con estrema limpidezza e attracchi che lasciano segni indelebili, composti con spazi e toni molto diversi, svariando dalla convulsa metropoli alle sterminate praterie rurali, dal grigiore di una prigione ai colori di un’area boschiva, ricorrendo a distinti registri cinematografici (il thriller, il romanticismo e il dramma, quest’ultimo con multiformi sfumature).

Una varietà sterminata, specifica e rimodulabile, che genera un componimento incisivo  e stratificato, che lascia fuoricampo le vittime (chi muore con il cappio al collo) e i carnefici (il regime), per perlustrare un’ampia terra di mezzo, quella abitata dalle persone comuni, con tutti i condizionamenti esistenziali del caso.

Con cognizione di causa e gettando il cuore oltre gli ostacoli, Il male non esiste mette il dito nella piaga, promuovendo una radiografia puntuale che riflette sulla condizione umana, con imposizioni ricattatorie che producono danni irreversibili, parlando di libertà, vere o presunte tali, di decisioni da prendere e ripercussioni a tempo indeterminato, uno scenario dove bisogna stare dentro o fuori, senza mezze misure, nel quale non esistono ascolto e comprensione. Un processo per gradi, che agisce su più sfere concentriche, che suscita svariate riflessioni, che pone lo spettatore in posizioni scomode (un po’ come in La zona d’interesse, è inevitabile chiedersi cosa avremmo fatto al posto dei protagonisti), sottoponendolo a ripetuti punti interrogativi, tra diritti ineludibilmente subordinati ai doveri, moti interiori esternati con vigoria e pegni da pagare.

Un messaggio forte e chiaro, fortemente contestualizzato, con un’indiscutibile rilevanza contenutistica, tuttavia contemporaneamente leggibile in migliaia di altri modi (il concetto di base riguarda tutti, a qualsiasi latitudini, semplicemente con imposizioni e reazioni di diversa gradazione), con punti cardinali fuori discussione e una linea di condotta impeccabile, per un’ingente gravitas emotiva, che ondeggia tra il vibrante (i moti interiori non lasciano scampo, emergono in tutta la loro lacerante intensità) e lo sconvolgente (vedasi un’esecuzione ripresa dal basso, che inquadra solo piedi e gambe, che termina con l’urina che cola sul pavimento).

 

scena

Il male non esiste (2020): scena

 

Insomma, Il male non esiste è un’opera multipolare e impegnativa, appagante e tagliente, che si iscrive con pieno merito nel gotha del cinema iraniano, che negli ultimi decenni ha espresso maestri indiscussi, come Abbas Kiarostami (Sotto gli ulivi, Il sapore della ciliegia), autori stimati per la loro produzione ma anche per  un integerrimo impegno civile, come Jafar Panahi (Il cerchio, Gli orsi non esistono), e registi come Asghar Farhadi (Una separazione, Il cliente) che hanno conquistato il mondo con opere in grado di scavalcare ogni confine.

Un’opera dall’ampio respiro, di impegno civile e politico,con una missiva prismatica e sensibilità variabili, in costante aggiornamento/completamento, che intende abbattere le barriere imposte e quelle strettamente geografiche, che in sintonia con quanto racconta non propone facili soluzioni e non prende alcuna scorciatoia accomodante, nella quale il suo autore sale in cattedra, esibendo abilità tecniche, uno sguardo penetrante e una visione d’insieme ammirevole.

Tra tradizioni e progresso, cassetti da aprire e vasi comunicanti da immaginare, colpe e condanne, peccati e pregi, constatazioni e contestazioni, costrizioni da accettare piegando il capo e alternative costose, prese di posizioni e conseguenze, disfunzioni e recinzioni, mondi personali che crollano all’improvviso e meati di speranza, come un finale che lascia aperto uno spiraglio per il futuro, di lunga fermentazione.

Traumatico e inossidabile, integro e dissidente.

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