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Semina il vento

Regia di Danilo Caputo vedi scheda film

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La recensione su Semina il vento

di mck
8 stelle

Lotta Biologica contro Mutazione Antropologica.

 

 

È un’opera-nostos, “Semina il Vento”. Nica, dopo tre anni, passati a studiare agronomia all’università, si prende un periodo sabbatico durante il quale fa ritorno in famiglia e all’Apulia natia, in un paesino di campagna dell’entroterra tarantino (da cui non si vede la Grecia, ma la si ode: Feliciana Sibilano, l’amica di Nica), “lontano” dall’ILVA e dal Mar Piccolo e circondato da uliveti in parte malati [con un inventato per l’occasione Liothrips caeruleus, una consapevolmente (im)probabile via di mezzo fra un afide/pidocchio e un tisanottero (e il suo antagonista, un simil emittero pentatomide denominato per l’occasione “Qualcosa” veneficus), a prendere il posto della Xylella fastidiosa, il gamma-proteo-batterio originario delle Americhe che ha colonizzato la Puglia partendo dal Salento e salendo verso nord trasportata dal suo vettore, la “sputacchina” Philaenus spumarius] e assediati da superstrade e dalla rigogliosa macchia mediterranea delle gravine, e Yile Yara Vianello, 20/21 anni come il suo personaggio, e come la protagonista cresciuta nel mondo agreste di una comunità “utopico-resiliente” delle colline/montagne toscane (“la Regina di Casetta” di Francesco Fei), ritorna al cinema (in attesa di rivederla anche ne “il Paradiso del Pavone”) dopo quasi un decennio dal suo esordio in “Corpo Celeste”, ed è un ritorno, dietro alla macchina da presa, anche quello del regista (e sceneggiatore, con la scrittrice Milena Magnani de “i Tempi Felici Verranno Presto”), Danilo Caputo, classe 1984 e oriundo di questi set e location, dopo più di un lustro (passato a fare il postino nei dintorni di Parigi o cose così) dalla sua opera prima nel lungometraggio, “la Mezza Stagione”, e tre corti precedenti.

 

scena

Semina il vento (2020): scena


Semina il Vento”, pur con alcune ingenue forzature (l’insetto non cercato dai più, o meglio dai tutti, e infine trovato dalla laureanda), qualche “forzato” e ribadito “luogo comune”, ma, semplicemente e tautologicamente vero (“La gente preferisce morire di tumore piuttosto che di fame…”), certe derive animiste e talune scorciatoie sincretiche fra Realismo Magico (Alice Rohrwacher) e Post-NeoRealismo (Giorgia Cecere, Laura Bispuri), con, nel mezzo e tutt’intorno, il cinema di Franco Piavoli, Edoardo Winspeare, Alessandro Comodin, Michelangelo Frammartino, Pietro Marcello, Fabio Bobbio, etc..., e ogni varia declinazione e sfumatura del genere documentario, dividendosi fra indicativo con pronome personale sottinteso (il vento dissemina gl’inquinanti dalla fabbrica alla città e alle campagne, e tanto gl’insetti “buoni” quanto quelli “cattivi”) e imperativo (il vento della protesta, della resistenza, della rivolta, è disseminato da quegli stessi esseri umani che prosperano nella calma piatta), e pur con tutti i limiti del caso, è un gran bel lavoro, che in certe occasioni sfiora miracoli poetici [due dei quali legati a una gazza con le ali tarpate attraverso la mozzatura delle remiganti primarie: in una scena, il passeriforme corvide tenta un salto dalla cima di un televisore a una mensola, fallendo miseramente e andando a “nascondersi per la vergogna” dietro all’apparecchio tv che in quel mentre sta trasmettendone un’ulteriore, di vergogna, ovvero il soggetto di un servizio giornalistico di un’emittente locale incentrato sull’eradicazione meccanica degli ulivi, e, in un’altra sequenza, la Pica pica, in difesa della sua padroncina, “attacca” - ed Alfred Hitchcock ne sarebbe stato orgoglioso - il padre (Espedito Chionna) di Nica che in quel momento ha fatto irruzione nella camera della giovane: in realtà la ripresa si avvantaggia del buio, ché l’uccello viene lanciato a sx del volto del personaggio, il quale all’accendersi delle luci nella stanza mostra una ferita sulla parte dx del volto, ma poco importa: un inaspettato prodigio cinematografico è avvenuto] e nel finale mette in abisso...

 

 

...il telo bianco illuminato dalle luci a incandescenza e dalla “luce nera” delle lampade di Wood e utilizzato per la tenebrosa “caccia” all’entomofauna crepuscolare e notturna con lo schermo cinematografico che "nasce" dall'inviolato nuovo Eden irrigato dalla sgorgante faglia acquifera della cripta sotterranea, ed è immediatamente il "2010" di (Peter Hyams e) Arthur C. Clarke: "Tutti questi uliveti sono vostri, ma non tentate alcuno sversamento di rifiuti tossici alla masseria della Sposa". Un punctum dolens, un una tantum, un unicum, un hortus conclusus, più che una speranza aperta, proliferante e moltiplicabile, ma tant'è.

 

Yle Vianello

Semina il vento (2020): Yle Vianello


Completano il cast Caterina Valente (la madre di Nica) e Maria Pia De Luca (l’amica della nonna).
Fotografia di Christos Karamanis, montaggio di Sylvie Gadmer, musiche di Valerio Camporini Faggioni (“Sole Cuore Amore”).
Ottimo (e molto ben inserito e utilizzato) il sound design di Peter Albrechtsen (scricchiolii e schiocchi arborei).
Prodotto da Paolo Benzi (Okta) e da Jacques Bidou & Marianne Dumoulin (JBA) con Rai Cinema (e MiBACT) e altri capitali greci e francesi (ed EurImages).

 

Yle Vianello

Semina il vento (2020): Yle Vianello

Yle Vianello

Semina il vento (2020): Yle Vianello


Bisogna ringraziare il regista, e fors’anche la sua interprete protagonista, per il fatto che il personaggio principale non abbraccia, mai, le piante: le martella, le risuona, le ausculta e le minimalmente scorteccia con grazia, ma non le “abbraccia”, mai.

“Qui la gente è inquinata in testa!”, s’ode (s’osa) dire durante il film, ove “qui” sta per “il mondo tutto”.

Lotta Biologica contro Mutazione Antropologica.

* * * ¾ (****)     

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