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La condizione umana: La preghiera del soldato

Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La condizione umana: La preghiera del soldato

di port cros
10 stelle

La colossale epopea di Kobayashi non è soltanto il resoconto di un periodo storico denso di eventi drammatici che avevano investito la sua generazione, ma una riflessione molto più ampia e generale sulla natura umana e le scelte morali laceranti che chi voglia conservare la propria umanità è costretto irrimediabilmente a compiere.

Tatsuya Nakadai, Hideko Takamine

La condizione umana: La preghiera del soldato (1961): Tatsuya Nakadai, Hideko Takamine

 

RECENSIONE RELATIVA AL COMPLESSO DELLA TRILOGIA “LA CONDIZIONE UMANA”.

 

Voto complessivo: 10

 

Voti parziali dei singoli film:

I. Nessun Amore È Più Grande - Voto: 10

II. Cammino Verso l' Eternità - Voto: 8

III. La Preghiera del Soldato - Voto: 10

 

La Condizione Umana di Masaki Kobayashi è un'opera fiume di nove ore e mezza, suddivisa per ovvie ragioni distributive in una trilogia di film, ciascuno dei quali è a sua volta suddiviso in due capitoli, trattasi in realtà un'unica epopea che può essere compresa solo attraverso una visione complessiva, a cui io ho dedicato l'intera giornata del primo dell'anno. Pertanto penso sia più appropriata un'unica recensione, che pubblicherò in ciascuna delle tre schede-film.

 

La trilogia segue la parabola umana dell'idealista Kaji (Tatsuya Nakadai) durante il biennio finale della Seconda Guerra Mondiale. In Nessun Amore È Più Grande lo conosciamo quale ingegnere in una impresa mineraria nella Manciuria occupata dai giapponesi, che nel 1943 accetta un posto di supervisore in una miniera sperduta nel freddo Nord della regione. Questo incarico gli viene offerto come un'opportunità per evitare di essere chiamato sotto le armi e poter invece rimanere a fianco dell'amatissima moglie Michiko (Michiyo Aratama), che lo segue nell'ardua trasferta. Kaji si metterà ben presto in rotta di collisione con i metodi brutali con cui la dirigenza sfrutta i minatori locali, costretti a turni massacranti e puniti con crudeltà. Condizioni ancora più brutali sono quelle a cui è sottoposta una nuova ondata di lavoratori, prigionieri di guerra cinesi consegnati all'impresa dall'esercito nipponico su vagoni che hanno poco di diverso da quelli che negli stessi mesi in Europa conducevano i deportati ad Auschwitz. L'opposizione al sistema di sfruttamento dei prigionieri, rinchiusi come bestiame in un recinto elettrificato, porterà Kaji a sfidare apertamente le autorità militari quando queste non si fanno scrupolo di giustiziare un gruppetto di forzati falsamente accusati di tentata evasione. Il suo coraggio lo esporrà prima a brutali torture e infine alla chiamata sotto le armi per allontanare la sua scomoda presenza della miniera.

Il servizio di Kaji sotto le armi è il fulcro del secondo film, Cammino Verso l' Eternità. Il nostro protagonista ha di nuovo modo di dare prova del suo idealismo e della sua umanità , stavolta per contrastare il nonnismo dei “veterani” contro le bistrattate reclute. Il film si chiude con la battaglia della brigatadi Kaji contro l'ingresso dell'Armata Rossa nelle terre mancesi: una vana carneficina.

Il terzo film La Preghiera del Soldato prende quindi le mosse dalla sconfitta del Giappone e dall'invasione della Manciuria da parte delle truppe dell'Unione Sovietica. Dissoltosi l'esercito nipponico, Kaji con alcuni commilitoni dovrà attraversare da Nord a Sud l'intera Manciuria, raccogliendo lungo la strada profughi derelitti ed affamati quali compagni di viaggio, nella speranza di ritornare ad abbracciare l'amata Michiko. Durante il tragitto si arrenderanno alle truppe sovietiche e verranno adibiti ai lavori forzati in una colossale segheria, cadendo pertanto in una situazione molto simile a quella degli sventurati che si era esposto a difendere nel primo film, una condizione di totale impotenza in cui può soltanto sperare che i nuovi padroni diano prova della stessa umanità e delle stesse idee altruiste di cui egli stesso si era fatto portavoce.

 

 

Tatsuya Nakadai

La condizione umana: Il cammino verso l'eternità (1959): Tatsuya Nakadai

 

 

Tratto da un romanzo in sei parti di Junpei Gomikawa è tuttavia un'opera cui Kobayashi conferisce una spiccata impronta autobiografica: come il suo protagonista, il regista, di idee pacifiste e socialiste, era stato reclutato durante la guerra sul fronte della Manciuria ed era stato un prigioniero di guerra. L'accusa contro le malefatte insite nel meccanismo corrotto e bugiardo di ogni potere sarà d'altronde un tema ricorrente anche nei successivi capolavori di Kobayashi, da Harakiri a L'Ultimo Samurai.

Dal punto di vista storico-politico è un'opera che spicca per la denuncia delle atrocità commesse durante l'occupazione della Manciuria, soprattutto tenendo conto che i giapponesi non sono molto propensi all'autocritica storica sui crimini della II Guerra Mondiale e che il governo nipponico non ha mai chiesto ufficialmente scusa alle popolazioni occupate. Altro tema portante è certamente l'antimilitarismo, dominante nel primo ma soprattutto nel secondo film che denuncia tutta la brutalità del nonnismo e ove addirittura Kaji dice chiaramente che “Il problema è l'esercito”. Nel terzo film prevale invece il senso della sconfitta e del disfacimento delle armate imperiali e della gloria militare che superbamente si illudevano di conquistare ed imporre ad altri popoli.

Tuttavia la critica non colpisce solo l'Impero del Sol Levante: l'illusione che l'URSS potesse rappresentare una terra promessa dove i suoi ideali di libertà avevano trovato realizzazione andrà in pezzi quando Kaji appellato, ironia della sorte, “samurai fascista” dai soldati russi, scoprirà sulla propria pelle che le armate sovietiche vincitrici non si comportano in modo poi tanto diverso da quelle del suo Paese: tutti i vincitori e tutti gli sconfitti si assomigliano, in un copione che eternamente e tristemente si ripete. Cadute tutti i miraggi di trasformazione sociale e politica che sostenevano la sua lotta solitaria e titanica contro un sistema oppressivo e disumano, a spingere Kaji innanzi rimane infine solo l'amore per la moglie e la speranza di riabbracciarla.

 

Tatsuya Nakadai, Michiyo Aratama

La condizione umana: Il cammino verso l'eternità (1959): Tatsuya Nakadai, Michiyo Aratama

 

Quello di Kobayashi non è tuttavia soltanto il resoconto di un periodo storico denso di eventi drammatici che avevano investito la sua generazione, ma una riflessione molto più ampia e generale sulla natura umana, i suoi slanci di altruismo, ma soprattutto i suoi limiti e bassezze, con tutta l'oscena gamma di crudeltà che gli uomini escogitano continuamente a danno dei propri simili, e le scelte morali laceranti che chi voglia conservare la propria umanità è costretto irrimediabilmente a compiere.

Nonostante ne dipinga l'innegabile idealismo e coerenza, Kobayashi non fa comunque mai del suo protagonista un santino di eroica e immacolata perfezione, ma un essere umano reale e fallibile, che evolve continuamente nel corso degli eventi e dei capitoli. Emergono fin da subito un'ingenuità ed una certa arroganza dell'ingegnere nell'illudersi di poter trasformare il sistema, a cui i corrotti dirigenti della miniera oppongono una visione più cinica ma anche più crudamente realistica (Cos'è un uomo? E' un massa di lussuria e avidità che assorbe ed espelle”). Ancora più velleitario appare il suo tentativo di umanizzare le pratiche e le ideologie, per loro stessa natura violente e sanguinarie, dell'esercito, che dovrà lui stesso fare proprie per uscire vivo dal campo di battaglia ("sono un mostro, ma sopravviverò"). La sua ingenuità si andrà a schiantare pure con l'ostilità dei soggetti “altri” che si proponeva di aiutare o in cui riponeva infondate speranze, che tuttavia lo giudicano e lo condannano a priori per la sua mera appartenenza nazionale all'odiato Impero oppressore. Nonostante tutta la sua abnegazione e sacrifico, il primo film termina con Kaji e Michiko inseguiti da una prostituta cinese, innamorata di un prigioniero che non è risuscito a salvare dall'esecuzione, che lo maledice gridandogli contro “diavolo giapponese”. Insulto che fa il paio col già citato “samurai fascista” sbattutogli in faccia dai soldati russi la cui vittoria contro il suo stesso Paese era giunto ad auspicare. “Non è colpa mia se sono giapponese…tuttavia esserlo è il mio peggior crimine” dovrà amaramente concludere.

 

L'autore tesse la sua sconfinata tela narrativa con sequenze di innegabile potenza, costruendo con sapienza, fotogramma dopo fotogramma, un monumento filmico alla resistenza umana. La scena terrificante dei prigionieri cinesi, ridotti a larve umane dalle privazioni, che si gettano giù dal treno e simili ad un'orda di zombi si avventano famelici sui carri di grano. La straziante esecuzione a fil di spada dei prigionieri che non vediamo se non attraverso lo sguardo sconvolto ed impotente di Kaji e la commovente ribellione. Il carro armato ripreso dal basso che passa sopra la fossa in cui i soldati si sono gettati. Figure che si stagliano isolate in un passaggio ostile, in viaggio attraverso i fitti boschi e gli sconfinati campi prima verdeggianti e poi innevati della Manciuria. Ma in realtà tutto è stato girato in Giappone, sull'isola di Hokkaido, dato che i cinesi mai avrebbero concesso i permessi, e persino gli attori che interpretano i personaggi mancesi, parlando correntemente la loro lingua locale con sottotitoli a fianco dello schermo, sono tutti giapponesi. Tutto ciò non fa però venire meno il realismo dell'opera.

L'isolamento morale e psicologico di Kaji è visivamente accentuato situandolo in distese di terreno desolato e sterile, soprattutto nel terzo film, ove è anche frequente l'utilizzo di inquadrature oblique e sghembe dall'effetto destabilizzante.

Cammino Verso l' Eternità, in cui volano più sberle che in qualsiasi film di Bud Spencer, ha anche un'assonanza col capolavoro di Kubrick Full Metal Jacket. Ciononostante è forse il capitolo meno travolgente della trilogia, pur costituendone uno snodo narrativo fondamentale e chiudendosi con una prolungata ed elaboratissima sequenza bellica.

Invece in La Preghiera del Soldato il tema del viaggio di ritorno a casa irto di difficoltà avvicina a tanti classici del cinema di avventura, girato con senso dell'epica e persino gusto per l'azione, fino all'epilogo tragico e disperato.

 

Tatsuya Nakadai

La condizione umana: La preghiera del soldato (1961): Tatsuya Nakadai

 

Grandissima è la prova attoriale del giovane Tatsuya Nakadai, all'inizio di una brillante carriera, che porta sule spalle il peso colossale di un'opera di tali dimensioni : gli altri personaggi vanno e vengono durante l'epopea e la stessa Michiyo Aratama non compare nell'ultimo atto, mentre Nakadai è di rado assente dallo schermo durante le nove ore e mezza. L'attore domina l'azione con una performance di ardente convinzione, incarnando le molteplici trasformazioni psicologiche e in ultimo pure fisiche a cui il suo personaggio va incontro. Attraverso i molti intensi primi piani il suo sguardo esprime tutto il tormento interiore di quella condizione umana di cui l'imponente affresco di Kobayashi riesce come pochi altri film ad arricchire la nostra comprensione.

 

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