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Bulworth - Il senatore

Regia di Warren Beatty vedi scheda film

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La recensione su Bulworth - Il senatore

di LorCio
4 stelle

A tutt’oggi è l’ultimo film diretto da Warren Beatty, che come regista ha diretto solo altri tre film (ma che film!). Bulworth è il meno convincente del trittico e quello che più si lega al suo film d’esordio (Il paradiso può attendere) nell’affondare le mani nelle brutture del sogno americano. Influenzato dal clintonismo (oggi abbastanza passato di cottura e rimpiazzato dal più enfatico e fragile obamismo), cioè da quel tipo di politica basata sia sull’immagine post-kennedyana che su un programma radical ma non troppo, batte bandiera democratica ma non si fa tanti scrupoli a mettere in ridicolo il sistema politico a stelle e strisce che comprende quindi anche i politicanti dell’asinello.

 

Sta qui il punto debole di fondo, nel qualunquismo evitato ma inevitabile che attraversa l’intera storia, peraltro non poco confusa: un senatore sessantenne ex bello (viene scambiato per George Hamilton e Clint Eastwood) e forse con poche, reali idee personali al di là di quelle passate dal proprio entourage, accetta di farsi uccidere per permettere alla figlia di intascare un’ottima assicurazione. Solo che questa situazione gli permette di dire ciò che vuole e d’improvviso viene travolto così da un’ondata di popolarità senza precedenti, e in più una ambigua e bellissima ragazza di colore gli ruba il cuore. L’obiettivo è quindi non farsi uccidere. Ci riuscirà?

 

Nessuno mette in dubbio la volontaria sgradevolezza che Beatty voleva trasmettere per rappresentare al meglio un mondo corrotto ed ipocrita e da cui forse è (stato) non poco deluso, ma il problema è che il film è eccessivamente sopra le righe, esagitato e non molto credibile come apologo e nemmeno tanto come metafora, troppo cupo per essere veramente disperato e troppo scalmanato per essere preso sul serio seppure trasversalmente.

 

Pure il rap, scelto come simbolo di libertà espressiva ed artistica, è rappresentato in modo fin troppo schematico e scontato, quasi senza una vera anima. Restano le buone prove degli attori (note al fido Jack Warden, già nel Paradiso e in Shampoo, altro film sulle ipocrisie della politica ma di sponda repubblicana, quest’ultimo da Beatty sceneggiato, a Paul Sorvino e Oliver Platt), alle luci di Vittorio Storaro e alle musiche per una volta non invadenti di Ennio Morricone.

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