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Zona di guerra

Regia di Tim Roth vedi scheda film

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La recensione su Zona di guerra

di cheftony
8 stelle

“I saw you.”
“Saw me what?”
“In the bath with dad.”
“Yeah?”
“What were you doing?”
“What do you think? He had a bath, I got in and he got out.”
“That’s not what I saw.”

 

 

Tom (Freddie Cunliffe) è un quindicenne introverso, nel pieno di una fase difficile a causa dell’allontanamento da Londra per risiedere con la famiglia nella periferia rurale di Devon.
Tutti gli occhi della famiglia sono rivolti all’imminente gravidanza di sua madre (Tilda Swinton), che alla fine partorisce con successo in mezzo alla strada e al fango, in seguito ad un incidente stradale durante la corsa verso l’ospedale intrapresa una volta iniziatele le doglie. L’intera famiglia rimane leggermente ferita e debilitata nello schianto, ma la normale routine riprenderà presto.
Un giorno, rientrando in casa, Tom scorge dalla finestra un atteggiamento equivoco fra suo padre (Ray Winstone) e sua sorella Jessie (Lara Belmont), diciottenne dalla bellezza delicata e in piena maturazione. Il confronto tra i due fratelli si risolve con le negazioni di Jessie, che peraltro ha un ragazzo, Nick (Colin Farrell), verso cui Tom sembra mantenere un atteggiamento ambiguamente geloso. I silenzi di reazione di Tom, nettamente contrapposti alla natura loquace di suo padre, nascondono la furia per ciò che sospetta e l’invidia per la maturità sessuale di chi lo circonda.
Quando quello che vede diventa davvero insostenibile fino a devastare latentemente il benessere di tutta la sua famiglia (all’infuori di una madre forse troppo presa dalla terza tardiva maternità), Tom deve capovolgere l’ordine malato creatosi fra le sue mura domestiche...

 

“Ho avuto voglia di dirigere un film per anni e ho detto al mio agente di cominciare a cercare una sceneggiatura. La prima che mi è stata recapitata era quella per «The War Zone». Se sei sopravvissuto ad un abuso e hai l’opportunità di raccontare una storia su quell’argomento, allora puoi davvero entrarci dentro e dire la verità. Per me è stata un’opportunità fantastica per esorcizzare un sacco di demoni. Sono molto orgoglioso del film e orgoglioso del fatto che sia stato usato come strumento d’insegnamento.” [Tim Roth]

 

 

“The War Zone”, datato a quasi vent’anni fa, è a tutt’oggi l’unico film da regista dell’attore inglese Tim Roth, in urgenza di esprimere indirettamente un suo problema terribile e fin lì tenuto nascosto: un’infanzia plagiata dagli abusi, che solo recentemente ha ammesso esser stati perpetrati dal nonno, su di lui e su suo padre Ernie. Alexander Stuart è l’autore della sceneggiatura che ha portato Roth dietro la macchina da presa, nonché del libro omonimo da cui tutto ha avuto inizio.
Se già l’opera prima da regista rappresenta una bella sfida per un attore, verrebbe da supporre che la componente personale non possa che aver rappresentato una difficoltà in più per il biondino londinese. Ma Roth sembra essersi vestito di un’analitica freddezza per ambedue questi aspetti, dando vita ad un film di inquadrature e di silenzi che narrativamente sembra guardare a Bergman e non certo a Hollywood (di cui Roth era in quegli anni imbarazzato ospite). “The War Zone” mette in scena ciò che non vorremmo mai vedere, infastidendo, scuotendo e torturando l’occhio, la mente, lo stomaco; ma lo fa con correttezza e con lucidità, esponendo i temi dell’incesto e dell’abuso familiare in un’ottica matura: Stuart e Roth evitano di ritrarre il lupo e l’agnellino e si propongono di indagare effetti e dinamiche, impulsi e desideri, silenzi di vergogna e reazioni imprevedibili.
Nessun didascalismo, nessun pietismo, anzi: “The War Zone” ritrae anche un rapporto morboso fra i due fratelli adolescenti, per i quali arriva financo a suggerire (se non a pronosticare) un’ulteriore relazione incestuosa, suggello di un tremendo danno inflitto loro da cui non torneranno mai indietro. Davvero bravissimi ad interpretare tale ambiguità i due ragazzi esordienti in un’opera cinematografica, ovvero Freddie Cunliffe e Lara Belmont. Se Tilda Swinton, la più celebre del cast, ha un ruolo essenzialmente complementare, Ray Winstone è talmente aduso a ruoli così duri da eseguire egregiamente il suo lavoro, risultando al contempo loquace e misterioso, attento e aguzzino.
Film durissimo, specialmente a causa di una scena di abuso esplicita e dolorosa. Approcciato con la giusta predisposizione, il risultato raggiunto da Tim Roth merita senz’altro uno sforzo e un’intera serata di sofferenza e rimuginamenti dopo la visione.

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