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Il colore della menzogna

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su Il colore della menzogna

di hupp2000
9 stelle

Una perla nella collana cinematografica di Claude Chabrol. Un giallo psicologico di alta classe con un trio di attori al meglio del loro talento.

Alla sua uscita in Francia fu accolto calorosamente dalla critica, ma non ottenne il successo di pubblico che secondo me avrebbe meritato. Lo considero infatti uno dei grandi film di Claude Chabrol, anche se i temi trattati rievocano altre precedenti opere, dall’ambientazione nella provincia francese al ritratto di personaggi ambigui dietro facciate rassicuranti. Quasi un marchio di fabbrica, capace tuttavia di creare prodotti di alta qualità grazie ad una sceneggiatura rapida e coinvolgente, all’utilizzazione ottimale di attori/complici e ad un’ambientazione suggestiva quanto ben fotografata. Teatro della vicenda è Saint-Malo, in Bretagna, meta turistica ambita dalla buona borghesia d’Oltralpe. Una bambina di dieci anni è stata violentata e uccisa. La giovane commissaria Lesage (Valeria Bruni Tedeschi) interroga René (Jacques Gamblin), pittore disilluso e insegnante di disegno, ultima persona ad avere visto la vittima. René e la moglie Viviane (Sandrine Bonnaire), infermiera a domicilio, si sono da tempo integrati in una cittadina che non è la loro. L’indagine della commissaria Lesage rendono René sempre più sospetto, voci e pettegolezzi nel paese si amplificano e il rapporto con Viviane rischia di incrinarsi. La situazione s’ingarbuglia ulteriormente quando viene commesso un secondo delitto. Qui devo fermarmi per non rivelare gli inattesi sviluppi di una vicenda dal finale spiazzante e aperto, come raramente accade nei film gialli, genere dal quale generalmente ci si aspetta una soluzione logica e razionale. Non di rado nel cinema di Claude Chabrol casi di cronaca nera fungono quasi da pretesto – ben congegnato e carico di tensione, ma pur sempre un pretesto – per descrivere e analizzare rapporti umani complessi, per svelare facce nascoste dei personaggi, per tirare calci qua e là alla morale borghese benpensante, al conformismo e all’ipocrisia. Altra caratteristica del Maestro è senza dubbio la sua capacità di valorizzare al meglio gli attori scelti. In questo film, fa centro tre volte. Jean Gamblin, con le sue nevrosi e gli occhioni da cane bastonato, incarna a meraviglia un personaggio molto hitchcockiano, perseguitato dal mondo esterno quanto da se stesso. I suoi nervi sono messi a dura prova dall’accanimento investigativo della strepitosa Valeria Bruni Tedeschi, commissaria tutta d’un pezzo, con la pacatezza e la determinazione di un Maigret al femminile. Per me, è un ruolo di cui l’attrice/regista può andare fiera. Non meno convincente l’interpretazione di Sandrine Bonnaire, moglie autonoma e in fin dei conti fedele al marito. Il suo ruolo ricorda molto quello di Stéphane Audran in “Stéphane, une femme infidèle” (“Stéphane, una moglie infedele” - 1969) dello stesso Claude Chabrol. Mi rendo conto che, per i fini conoscitori del regista, ho appena suggerito il finale che mi ero ripromesso di tacere.

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