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Il potere

Regia di Augusto Tretti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il potere

di yume
9 stelle

Audaci, dissacratori e derisori, anarchici e irriverenti, ai film di Tretti, in “un paese orribilmente sporco”, come diceva Pasolini, il potere non poteva consentire che arrivassero alla gente, che certamente li avrebbe amati.

Acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano
Federico Fellini

 

SINOSSI

Impossibile fare una sintesi esaustiva della enorme quantità di elementi che concorrono a dare al film quel tono tra serio e faceto, parodistico e drammatico, apparentemente naif ed estremamente sofisticato che lo contraddistingue.

Composto di cinque episodi che illustrano le origini e le manifestazioni del potere attraverso il tempo, Il potere parte dalla Preistoria, passa all’Età di Roma, quindi si ferma a lungo  sulla colonizzazione puritana in America con relativo massacro dei pellerossa, arriva al Fascismo e chiude con il neocapitalismo dell’età post-moderna.

Fra un episodio e l’altro intermezzi teatrali con tre personaggi mascherati in trono.

Sono maschere di belve, leone, leopardo e tigre, e rappresentano i detentori del potere militare, commerciale e agrario. Muovono denaro e gestiscono il potere nel corso del tempo, decidono strategie e alleanze, cambiano col mutare delle epoche ma restano sempre al loro posto.

Una regola fondamentale per continuare a sfruttare e speculare alle spalle del popolo è modificare tattica e vestito. Camuffarsi, seguendo il corso degli eventi.

La didascalia finale, se non fosse bastato tutto il resto, decretò l’ostracismo definitivo di Tretti di cui si parlerà nel commento.

Sullo sfondo,dietro i tre detentori del potere, si alza un sole fiammeggiante che incornicia falce e martello.

Chiude una frase di Lenin: Ma chi non sa che ai giorni nostri ogni furfante ama pavoneggiarsi in un vestito rosso?”.

 

LE CINQUE ETA’ DEL POTERE

 Età della pietra: lungo una pietraia scoscesa sul fianco di una montagna alcuni uomini e donne vestiti di pelli di animali tentano di catturare una gallinella bianca. Si scatena un temporale con tuoni e fulmini, incendi scoppiano qua e là e il furbo che dall’alto aveva assistito alla caccia alla gallina si fa passare per Dio del fuoco. Tutti si prostrano in adorazione e lui ordina di portargli sempre tutte le galline catturate.

 Età romana: Focus su Tiberio Gracco e la cospirazione dei senatori latifondisti contro la sua riforma agraria. Siamo nel II sec.a. C., i capitalisti agrari dominano in Senato e Tretti li mostra immersi in tinozze colme di latte d’asina mentre, accuditi da belle schiave, lanciano anatemi contro il tribuno e si preparano a farlo fuori aizzando il popolo sulle scale del Campidoglio.

 Età del Far West: un’età lunga e complessa, l’America che nasce e i galeotti europei che vengono liberati per colonizzarla ripulendola dai selvaggi, i pacifici indiani. “Bibbia e moschetto pioniere perfetto” è il motto dei bianchi, le tre belve ordinano di portare progresso, libertà e religione anche se a prezzo di stermini, e immagini delle stragi in Vietnam scorrono in parallelo.

Età fascista, a partire dal 1919: industriali, commercianti, agrari e infine il Vaticano sono tutti coinvolti nel sostegno a Mussolini. Non manca nessuno, il Poeta Vate arringa i suoi arditi e si alza in volo con una spintarella della sua Eleonora Duse al biplano che fa bizze. Le squadracce si spostano “camionalmente” per colpire, cento contro uno, i rossi, e la marcia su Roma, con il Duce che arriva in wagon-lit e il re burletta che apre servilmente Porta Pia e li fa accomodare, è seguita da sfilate di reparti dell’esercito “più forte del mondo”, un comico drappello che cambia cappello e mostrine dietro l’angolo.

Sfilano alpini, poi bersaglieri, fanti e carristi, stesse facce e cappello nuovo, mentre autoblindo e cannoni di cartapesta sono assemblati velocemente come carri di Carnevale.

E’ il piano che i tre potenti hanno accuratamente studiato, ciò che ora conviene al potere è Mussolini con la sua capacità di trainare le masse, quando non servirà più butteranno in un angolo la grottesca maschera di gomma che gli copriva la testa.

Un tribuno dalla voce tonante che rimbambisca il popolo con i miti dell’Impero e delle gloriose sorti di Roma è quel che ci vuole. Intanto dall’Abissinia arriverà mano d’opera nera a basso costo e commercio e industria funzioneranno alla grande.

Mentre il popolo canta “Sole che sorgi libero e giocondo…” e i balilla sventolano bandierine,il Duce mostra mascelle e bicipiti dal balcone. Flash fotografici della Shoah, Auschwitz e ghetto di Varsavia, villaggi africani incendiati e file di impiccati nelle piazze scorrono mentre dal balcone si sproloquia di aquile che spiccheranno il volo al di là dei monti e dei mari, reni spezzate ai rossi e a tutte le razze impure, la nuova Europa aspetta solo noi e boia chi molla.

Fino a piazzale Loreto e alla triste maschera a testa in giù.

 Epoca moderna

Il “parlamentarismo”: parola magica, sotto le sue ali sarà possibile continuare a sfruttare e gli affari fioriranno.

Oggi la parola patria non fa più effetto, questi burattini non servono più”.

Così confabulano le tre belve: “Traendo profitto dalle leggi democratiche narcotizzeremo le masse con la stampa, con la falsa cultura, con la televisione. Distrarremo il popolo con lo sport, con i beni di consumo e favoriremo le aristocrazie operaie”.

Sono di nuovo in scena le galline, bianche come quella preistorica, ma ora batterie di polli benedette da Sua Eccellenza in visita pastorale sfilano in bell’ordine.

80.000 uova al giorno, ora si sta bene, possiamo mangiare un pollo tutti i giorni” dice orgoglioso il padrone, mentre flash fulminei di bambini scheletrici del terzo e quarto mondo si accendono e si spengono.
Galline con gli occhiali “per evitare il cannibalismo”, super uova giganti senza tuorlo, l’automobile come bene necessario, le cambiali per comprarle, abbasso lo sciopero e viva il nuovo centrattacco per la squadra di calcio, gli operai sono contenti così.

La pubblicità è il nuovo Dio, tutto serve, anche il Moblon, oggetto misterioso, inutile, che tutti desiderano e comprano.

Le ultime scene sono filmati di repertorio con  moti di piazza, scontri con l’esercito, disordini di masse in rivolta.

Il ’68, gli anni di piombo, lo sviluppo senza progresso presenta il conto.

Ormai, per mantenere il potere, non resta che camuffarsi da socialisti” concludono le tre belve, e falce e martello spuntano dietro di loro illuminate dal rosso “sol dell’avvenire” che sembra un’arancia succosa.

1971, Augusto Tretti dixit.

Augusto Tretti

Augusto Tretti: Un ritratto (1985): Augusto Tretti

 Chi era Augusto Tretti?

 Veronese, classe 1924, morto nel 2013, è il matto di cui parla Fellini, e, a detta di Flaiano, “un fenomeno isolato o, peggio, da isolare”.

Secondo di soli tre film e un mediometraggio (La legge della tromba, Alcool e il mediometraggio Mediatori e Carrozze), Il Potere del 1971 gli portò un successo inatteso, ma il suo astro brillò ben poco.

Presentato a Venezia, fu applaudito a lungo:

… Il successo del «Potere» è stato imprevisto e chiaro: applausi ai due spettacoli. All’Arena, due minuti precisi di applausi. Tretti li ha cronometrati. Il giudizio che pesava su di lui, di non tener conto delle leggi dello spettacolo, di non essere di nessuna corrente, è caduto; anche (e forse soprattutto) se qualche critico lo ha trattato come un caso divertente, con l’affetto che si riserva agli innocui.”

Così racconta Flaiano, tra i pochissimi che lo capirono, che aggiunge:

Forse avrà, in questo paese di manieristi, degli imitatori, ma sicuramente goffi o soltanto furbi. Il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presuppone la superba innocenza dell’eremita.[…] Lo si può, volendo, liquidare con due definizioni: goliardico, naif. Alcuni lo fanno. Ma sono definizioni sbagliate. I goliardi e i naif non hanno rigore, si fermano alle prime osterie, si divertono, riempiono le domeniche. Tretti non si diverte, benché sia difficile non divertirsi anche, vedendo i suoi film. Egli ha fatto sua la lezione di Brecht, ma la svolge senza grandi apparati e con estro vernacolo. Il suo discorso è «papale papale», come si diceva una volta a Roma, cioè franco, diretto. La sua comicità è veneta, se si pensa al Ruzzante e ai suoi attori presi dalla strada.

[…]Tretti fa un cinema didascalico da sillabario, vuol dire una sua idea della società, e perché non gli piace. Ci riesce per una sua forza derisoria che si avvale d’impassibilità, di non-compiacimento. I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori (folle di otto persone, eserciti di dodici soldati), riportano il cinema a un eden dimenticato; a grandi spazi fatti di paesi, monti e campagne della memoria. Quando vuol colpire lo fa con la rapidità dell’evidenza. Si serve di un discorso volutamente dimesso perché ha le idee chiare. E’ anche difficile collocarlo nello scaffale di sinistra. Egli si ritiene anarchico, di linea veronese, cioè un po’ folle. Le sue bombe scoppiano con un enorme rispetto della vita umana, ma non a vuoto.

Del suo cinema Tretti diceva:

 “Per me è stato un esperimento nuovo. I miei film non sono veristi, sono tutti ‘costruiti’, sono brechtiani: hanno una recitazione burattinesca. Così ho voluto vedere se ero capace anch’io di fare un film con la ‘presa diretta’ del sonoro e con attori presi dalla strada… Se con La legge della tromba avevo voluto fare un film contro l’abitudine dell’attore impostato, con Il potere ho voluto mettere in ridicolo le strutture formali del cinema di consumo: i colori sfolgoranti, la bella fotografia, il lusso e lo sfarzo”.

 Il tema del potere come rapacità mascherata da motivazioni ideali non era nuovo. La novità di Tretti sta tutta nell’ approccio parodistico ad un argomento elevato, che sarebbe risultato logoro se trattato con mezzi consueti.

Un sapore paesano, popolaresco, apparentemente naïf, stralunato e stravagante ma denso di verità tiene lo spettatore incollato allo schermo.

Posto tra teatro e cinema, in una terra di nessuno, o di transito, lo spiazzamento dello spettatore è totale, e crediamo che più o meno la stessa cosa accadesse al pubblico Ateniese davanti alle commedie di Aristofane.

Il potere della risata di esorcizzare e denunciare è insuperabile, unito all’intelligenza profonda della visione che inventa una miriade di trovate apparentemente assurde che, a guardar bene, puntano dritte al nocciolo della verità.

Le cinque sezioni del racconto vanno dal burlesque al drammatico senza soluzione di continuità, fiction e filmati di repertorio tratti da momenti topici di storia del ‘900 si susseguono in una girandola che unisce passato e presente in rimandi, analogie e rispecchiamenti che annullano i confini del tempo, e centinaia di migliaia di anni diventano un infinito presente segnato con tragica continuità dal peccato originale dell’uomo: la sete di potere.

Appaiono così lungo lo sviluppo degli episodi i volti di Matteotti, Gramsci, Rosa Luxemburg, Malcolm X e Lumumba, fotografie della guerra del Vietnam e varie tempeste del mondo, brevi filmati indimenticabili impressi nella memoria collettiva.

Servono a “ dare l’idea della continuità della violenza di classe contro coloro che vogliono opporsi ad un determinato assetto sociale”.

La storia travagliata del film

Le mie strade sono state piene di traversie, una battaglia continua per trovare il produttore, il quale poi non sapeva trovare la distribuzione...”

Parlando del film precedente, La legge della tromba, Tretti racconta:

“Quando ho finito il film, mi sono trovato da solo senza i produttori, con le bobine in mano. Ho cominciato a mostrarlo a Roma, il cinema è là... Ho provato tutti i noleggi, uno alla volta: chi mi dava del matto, chi mi diceva che era un bel film ma non da noleggio... Ogni tanto trovavo dei piccoli produttori e distributori che si infiammavano, ma poi si smontavano alle prime difficoltà. E allora ero ancora solo...”.

Così dunque andò sempre, e la storia lunga e significativa de Il Potere (sei anni di gestazione, due produttori che falliscono, qualche attore che muore, l’intero arco costituzionale infastidito) è una conferma.

Si goda questa giornata, perché questo è stato il suo ultimo film” gli sibilò un noto politico dell’epoca al successo di Venezia. e il sostegno di Fellini, Zavattini, Flaiano, Antonioni e Biagi non bastò.

I suoi film sono audaci, dissacratori e derisori, anarchici e irriverenti, ma in “un paese orribilmente sporco”, come diceva Pasolini, il potere non poteva consentire che arrivassero alla gente che certamente li avrebbe amati.

Non resta dunque che vederli, la loro contemporaneità è inalterata e il giudizio di Franco Fortini, riferito a La legge della tromba ma da estendere a tutta la sua filmografia, è il viatico più adatto per la loro riscoperta:

Di rado il cinema italiano ha dato una verità così precisa come quei campi, quelle scarpate, quella desolata officina e quei personaggi, che demistificano la lustra apparenza dei ‘miracoli’ economici e ritrovano una provincia farsesca e sinistra. Quelle che possono sembrare le debolezze del film sono invece la sua forza: quel che di smarrito, di disperso, di scucito. L’autore salta sopra le nostre teste, e sopra quelle del pubblico viziato, ritrova lo stupore delle verità elementari. Se la parola poesia è troppo grossa, sceglietene un’altra. Ma a quell’uomo bisogna mettere in mano una macchina da presa: non capita spesso di poter sentire suonare il Dies Irae con l’accento stralunato d’una trombetta di latta.”

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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