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Banditi a Orgosolo

Regia di Vittorio De Seta vedi scheda film

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La recensione su Banditi a Orgosolo

di ed wood
8 stelle

Film splendido, tra i migliori di quella irripetitible stagione del cinema italiano. Accostabile al quasi coevo "Il tempo si è fermato", esordio al lungometraggio di Ermanno Olmi, per la capacità di coniugare la lezione documentarista degli anni 50 con la poesia dello sguardo "d'autore" delle nuove leve cinematografiche. Non c'è solo il recupero neorealista in questa memorabile tragedia sarda firmata De Seta. C'è la spregiudicatezza, la libertà di montaggio, l'allentamento della morsa narrativa dei cugini francesi della Nouvelle Vague; ma anche la compostezza figurativa, l'epos sofferto, la valorizzazione dell'azione negli sterminati spazi della natura brada, tutti elementi propri del cinema americano classico. Più John Ford che Rossellini, quindi, in "Banditi ad Orgosolo"? In buona parte, sì. L'opera prima di De Seta è, di fatto, un western (in maniera analoga, ma meno enfatica, rispetto al Germi di "In nome della legge"). L'unica differenza è che non ci sono vaccari, ma pastori. Per il resto, la Sardegna rappresentata da De Seta è un'altro, piccolo Far West. C'è la stessa natura ostile, con la quale è necessario convivere. Ci sono banditi e tutori della legge; donne e bambini a correre i rischi procurati dagli uomini. C'è la stessa civiltà povera e necessariamente avida, dove ognuno vive e lavora per sè, dove la violenza è l'unica plausibile modalità di comunicazione, dove è difficile salvare la propria coscienza. L'estetica è quella di John Ford dunque, ma la poetica è forse più vicina ad Anthony Mann. Il compianto De Seta si avvale dunque di un'accattivante impalcatura "di genere" e di una purezza di inquadratura rara nel nostro cinema, forse debitrice del Visconti di "La terra trema" (senza contare la stupenda fotografia, firmata dallo stesso autore), per esplorare la dura realtà di una terra rimasta fuori dal boom economico. C'è quindi, oltre ai modelli d'oltreoceano, l'anima rosselliniana, il cinema come testimonianza dialettica dell'ambiente in cui agiscono (o semplicemente osservano) i personaggi. C'è poi un terzo elemento, forse casuale ed involontario: la metafisica del Male. Non so voi, ma io, nel seguire la parabola di corruzione del pastore/bandito, da vittima a carnefice di una società in cui ogni Grazia (se non quella dello sguardo triste di una donna in pena per le sofferenze altrui o di danze popolari scrutate dall'uscio) pare negata, ho pensato subito a Robert Bresson.

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