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A prima vista

Regia di Irwin Winkler vedi scheda film

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La recensione su A prima vista

di degoffro
4 stelle

Sarà pure una storia vera, raccontata dal professore di neurologia Oliver Sacks nel suo "Un antropologo su Marte", ma il film di Irvin Winkler è davvero modesto, monotono, ricattatorio e fasullo. L'interessante caso clinico di Virgil, cieco fin dall'età di tre anni (l'unica cosa che ricorda di avere visto era molto soffice e si scoprirà alla fine essere lo zucchero filato) sottoposto poi ad un intervento chirurgico che gli restituisce la vista, ma solo per un breve periodo, viene ben presto accantonato per lasciare spazio alla consueta, inutile e tediosa storia d'amore tra lui e Amy, architetto divorziato di New York. Nulla di nuovo sotto il sole: quando la sceneggiatura regala perle di saggezza come questa ("Vedrai molte cose, ma non servirà a nulla se perderai di vista ciò che conta veramente", oppure "tu sei cieco perché non vedi quanto ti amo"), si può pretendere davvero poco. Film gemellare di "Autumn in New York", altrettanto ridicolo e grossolano, ripetitivo e esile, con l'aggravante che dura senza motivo oltre le due ore. Molte le parentesi solo suggerite, come il rapporto tra Virgil e suo padre, scappato di casa quando il ragazzo era piccolo perché vedeva in lui il suo fallimento, oppure il ruolo della sorella di Virgil, Jenny (una ritrovata e brava Kelly McGillis), donna che ha sacrificato tutta la sua vita pur di accudire e fare quasi da madre al fratello. Sarebbe stato bello anche approfondire il rapporto di gelosia/invidia tra Amy e Jenny, che si vede portare via il fratello da una ragazza che non può minimamente capire cosa vuol dire stare vicino ad un cieco. Invece Winkler, al suo peggior film, con la sciagurata collaborazione dello sceneggiatore Steve Levitt, resta solo sulla superficie delle cose, accenna, accumula, (inutile ad esempio il personaggio dell'ex marito di Amy, con ovvie scenate di gelosia da parte di Virgil di fronte agli scontati tentativi dell'ex marito di riconquistare Amy, perché solo ora si è reso conto di quanto lei sia importante per lui!!!), sbanda di continuo, insiste in maniera esagerata e fastidiosa sulla metafora della cecità (anche chi vede in realtà spesso è cieco) e affronta il risvolto romantico-sentimentale con una banalità sconcertante, raggiungendo risultati spesso raggelanti, senza rinunciare a nulla, ma soprattutto senza evitare cadute imperdonabili ed impensabili per un uomo di cinema dal passato glorioso (è stato produttore di cult come "Toro scatenato" o "Non si uccidono così i cavalli"). Momenti cult: Amy e Virgil "ascoltano" la pioggia: lei gli parla di condivisione e lui, senza farsi pregare due volte, le stringe la mano; Amy e Virgil "pattinano" maluccio sul ghiaccio e, sorpresa, cadono. Lei lo osserva con sguardi languidi e complici, pur rendendosi conto che lui non può percepirli. Virgil allora le tocca gli occhi, il naso, la bocca e poi le dice che è bellissima!! Sequenza successiva i due fanno l'amore. Per di più Val Kilmer, con stampato in faccia costantemente un sorriso da ebete, è più fuori parte che in "Batman Forever" (e il doppiaggio monocorde di Roberto Pedicini non aiuta); meglio Mira Sorvino, decisamente sprecata però in un ruolo senza nerbo e spessore. Oliver Sacks al cinema non ha fortuna: la sua capacità di trasformare un caso clinico, spesso particolare o eccentrico, in un'indagine profonda nella varietà della mente umana, non ha ancora trovato un felice e meritevole riscontro in un film degno, se è vero che anche "Risvegli", pur decisamente superiore a questo film, risultava piuttosto freddo e costruito, senza un'autentica emozione. Alcune curiosità: come in "Risvegli", anche in "A prima vista" il medico è interpretato da un celebre comico americano: là era Robin Williams, qui Nathan Lane (insieme hanno fatto "Piume di struzzo"); Kilmer a distanza di quindici anni da "Top Gun" divide nuovamente la scena con Kelly McGillis; direttore della fotografia è il premio Oscar per "Il paziente inglese" John Seale, mentre le musiche sono di Mark Isham, vincitore di un Grammy award per "In mezzo scorre il fiume" di Redford. Resta la sensazione che il cinema americano non sappia più realizzare melodrammi emozionanti, sinceri ed appassionanti, senza cadere nel patetico lacrimevole o nel buonismo fasullo. In 130 minuti di proiezione una sola battuta degna di tal nome: "ieri sera vedevo la Tv, uno dei pochi svantaggi di riacquistare la vista", per il resto vuoto assoluto. Un autentico disastro, e non solo a prima vista.
Voto: 3

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