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Memory Box

Regia di Joana Hadjithomas, Khalil Joreige vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Memory Box

di laulilla
8 stelle

Film importante, presentato alla 71.a rassegna di Berlino e, in seguito, all’ultimo TFF, insieme alla retrospettiva cinematografica dei coniugi registi libanesi che dal 2008 hanno voluto dedicarsi alla tragedia del loro paese con tre film e due documentari, perché nulla si perda di quei giorni e perché si possa ancora sperare nel futuro.

 

Una grossa scatola  spedita dal Libano è arrivata nella gelida e nevosa Montreal, ed è recapitata nella casa in cui tre donne si preparano alla festa di Natale. Destinataria di quel pacco è Maja (Rim Turkhi), che non è ancora rincasata, ma che abita in quella casa con  la figlia adolescente Alex (Paloma Vauthier).  La ragazzina la sta aspettando con la nonna Teta (Clémence Sabbagh), che vorrebbe respingere quel grosso pacco nella certezza che il suo contenuto avrebbe rovinato la festività, evocando il suo doloroso passato libanese, quando lei e Maja avevano dovuto abbandonare Beirut negli anni della guerra civile.

Maia (diciassettenne negli anni ’80, interpretata da Manal Issa) viveva con lei e col padre in quella capitale storica, in cui si avvicinavano minacciosamente le avvisaglie finora ignorate dell’orribile  guerra civile, che, arrivata alle soglie della loro casa, avrebbe costretto l’intera famiglia all’esilio, com’era accaduto alle altre famiglie cristiane di Beirut. 

Allora Maja era così giovane e piena di vita, che non immaginava neppure lontanamente quell’atroce destino, che l’avrebbe separata dagli amici e dalle amiche più care, soprattutto da Lisa (Isabelle Zighondi), alla quale aveva raccontato i segreti del cuore, e le vicende dell’amore per Raja (Hassan Akil), il giovane bellissimo che si era armato per difendere la comunità da miliziano, ciò che non gli era bastato per evitare la sconfitta.

Improvvisamente Rasa non si era più visto, così come di tanti si erano perse le tracce: di Lisa nessuno conosceva la sorte costretta ad andarsene, a fuggire chissà dove…

Il padre di Maia si era chiuso nella depressione, schiacciato dal rimorso di non aver saputo evitare la tragedia alla sua famiglia: l’unico spaventoso colpo d’arma da fuoco del film viene dal suo revolver che pone fine allo strazio insopportabile.Teta si era fatta coraggio e si era allevata da sola Maia, la ragazzina che, senza aver dimenticato Rasa, Lisa e i loro ragionamenti d’amore, molti anni dopo era diventata la madre di Alex.

Un po’ per non turbarla, un po’ per pudore, Maja non aveva mai parlato con sua figlia degli antichi ricordi, tutti contenuti in quella scatola: le fotografie, i diari, i doni, gli oggetti cari al suo cuore erano solo suoi, né li avrebbe condivisi.

Eppure quella scatola misteriosa aveva destato la naturale curiosità della ragazzina che segretamente aveva rovistato, scovando, con l’aiuto dei nuovi strumenti della ricerca informatica, qualche notizia in più: qualcuno forse non si era perduto, qualcuno forse voleva essere ritrovato…

Il film, bellissimo, è attraversato per tutta la sua durata dalla récherche, dal tentativo di salvare le cose del passato, quel che resta, se resta, dal buio della distruzione, che paradossalmente – e simbolicamente – non vediamo mai durante la guerra civile, ma che per qualche attimo sembra invadere lo schermo dopo lo sparo che pone fine alla vita del nonno di Maja. Il bisogno di vivere e di sperare è più forte ed esige di guardare oltre il dolore, di superarlo per i figli, ai quali i registi dedicano il film.

Il tempo ritrovato è, dunque, il ritorno alla vita, è Alex con la sua voglia di vivere il presente, vedendo, finalmente accanto  a Maja, Beirut da vicino, i luoghi antichi e oggi restaurati, i luoghi dell’amore ora ritrovato e dell’amicizia che si è mantenuta nel tempo.

 

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