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Cosa sarà

Regia di Francesco Bruni vedi scheda film

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La recensione su Cosa sarà

di Furetto60
7 stelle

Ottimo lavoro di Francesco Bruni. Tema non originale, ma trattato con professionalità e garbo. Eccellenti le prove di tutti gli attori

Quarto lungometraggio diretto da Francesco Bruni, e da lui stesso scritto, con la collaborazione attiva del protagonista Kim Rossi Stuart. Bruno Salvati, che di mestiere fa  il regista, anche se non certo di successo. I suoi lavori sono poco apprezzati e il suo produttore gli rinfaccia che le sue commedia non fanno ridere. La vita privata non va meglio, Si è da poco malvolentieri separato dalla moglie e ha due figli, Adele forte e pragmatica  e Tito stralunato e immaturo. Un giorno, subisce un insignificante urto al naso, che gli causa una prolungata epistassi. Ciò lo induce ad effettuare accertamenti.  Dopo gli esami di rito scopre di essere affetto da una brutta forma di leucemia e ha bisogno di un donatore di cellule staminali  compatibile, i figli dopo prelievo, scoprono di non esserlo, ci vuole un altro consanguineo ma Bruno non ha fratelli o sorelle. A questo punto l’anziano padre Umberto gli rivela un segreto che gli accende una nuova speranza. Umberto ha avuto un’altra figlia fuori dal matrimonio, che lui però non ha nè conosciuto, né ovviamente riconosciuto, non l’ha mai vista, ma sa che c’è, non ricorda nemmeno il cognome della madre, sa solo che si chiama Fiorella e lavora in un’agenzia immobiliare. La ricerca non sarà facile, ma è l’unica speranza per Bruno. Il regista prende spunto  dalla sua storia personale, pur molto rimaneggiandola cinematograficamente, come sempre nei suoi film, di chi è passato attraverso le tristi tappe di un calvario che tanti conoscono sin troppo bene, le pene della chemio, i capelli che cadono, la nausea, la spossatezza e la sensazione di paura, con il senso della morte che ti accompagna sempre, che è rappresentato bene, attraverso flashback che ci riportano alla sua infanzia, al rapporto problematico col padre, alla tenerezza della madre che gli appare durante le fasi più stranianti della terapia fino al salvifico trapianto. C’è un momento della storia che è particolarmente struggente, viene proiettato nell’ospedale, proprio un film del paziente Bruno, quando dopo la visione, il regista si propone per un cineforum, contemporaneamente un altro malato presente, si sente male, probabilmente muore, tutto si interrompe i pazienti rientrano nelle proprie stanze. Il film, pur essendo opera molto personale, appare più sentito che intimo, guidato da un’evidente urgenza espressiva, è sincero e schietto, tocca corde universali, in equilibrio tra la finzione e la realtà, tra il cinema e la vita.Bruni gira un film diretto, che evita scorciatoie e allo stesso tempo schiva la mina vagante dell’avvitamento su se stesso e evidenzia con chiarezza da subito i tratti distintivi. Si parla di malattia, e di come essa costringa l’essere umano a interrogarsi non tanto sul significato della vita, ma sul modo in cui la si è condotta, e sugli affetti che si rischia di abbandonare per sempre, di colpo, contro la propria volontà. Non è casuale che tra i corsi e ricorsi mentali dell’ospedalizzato Bruno torni con frequenza l’immagine della madre, cristallizzata nella sua forma giovanile, quando lui era ancora un bambino. L’affetto compensa il lutto inevitabile del tempo, e del suo incedere. Subito nei primi minuti si passa dall’incipit, a un repentino cambio di registro che ci immerge in una stanza di ospedale. Con poche inquadrature e pochi dettagli veniamo calati in quella realtà fatta di luci soffuse ma fredde immersi in quell’atmosfera sospesa che si respira solo in ospedale. Quello di Bruno sarà un lungo e non facile percorso per ritrovare sé stesso e per recuperare la sua salute, che inizia con una lenta e significativa rasatura della testa sulle note di “Perfect Day” di Lou Reed, con scoperte sorprendenti e piccoli gesti quotidiani che esprimono bene il senso del significato di “cura. Molti i personaggi significativi, oltre ovviamente al protagonista, l’apparentemente brusca dottoressa ,interpretata da Raffaella Lebboroni, moglie del regista, capace invece di farsi carico di pazienti spesso poco pazienti, personaggio esemplare quello che la gente si aspetta da un medico, specialmente nei momenti difficili: la competenza, la serietà, un’umanità che non si traduce mai in  pietismo e condiscendenza, ma che rimane sempre ancorata alla sincerità e al rapporto aperto tra dottore e paziente.Poi c’è Fiorella alias  Barbara Ronchi la sorella di Bruno. Reagisce con stizza alla notizia della fratellanza ma poi dopo una riflessione che non si vede ma si intuisce, è pronta a farsi carico di un impegno oneroso per una persona che non ha mai visto prima. Da quel punto in poi si tifa per lei, che diventa di fatto la protagonista, capace di lasciar intravedere in ogni sguardo e parola un vissuto ignoto accaparrandosi con decisa dolcezza il ruolo più completo e complesso di tutto il film, fino all’infermiere, una presenza costante e rassicurante, non priva di spirito.  La scelta felice del cast e delle ambientazioni, l’ospedale, gli splendidi esterni a Livorno, rendono la storia realistica ed emozionante, mai melodrammatica e nemmeno sdolcinata, grazie anche ai momenti in cui il sorriso fa capolino anche nel dramma. Bruni nel film giustamente ironizza su chi si riduce a guardare i film sullo smartphone e Cosa sarà , il cui titolo originale sarebbe dovuto essere originariamente “Andrà tutto bene”, espressione ormai diventata “inquietante” in tempi di pandemia, dopo una lunga attesa, comunque esce in un periodo in cui sono ancora chiuse le sale cinematografiche. Il tema della malattia incurabile è stato narrato tantissime volte al cinema, basti pensare a “Voglia di tenerezza,” tanto per fare un esempio, tuttavia per quanto inflazionato il genere, questo film si apprezza comunque per la delicatezza, il garbo e la misura, con cui il regista maneggia la materia. Bello, intenso e commovente.

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