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Amici & vicini

Regia di Neil LaBute vedi scheda film

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La recensione su Amici & vicini

di degoffro
4 stelle

Parole, parole, parole… Al suo secondo film il commediografo/regista Neil LaBute fa un clamoroso buco nell’acqua. “Amici & vicini” pecca di una fastidiosa verbosità e di un’irritante inutilità. Un’ora e mezza di vane, sterili e noiose chiacchiere incentrate prevalentemente sul sesso (inequivocabile la battuta che il personaggio di Ben Stiller rivolge all’inizio ai suoi studenti “E’ sempre una questione di scopata!”) con la presunzione di volere dire tutto sull’insoddisfazione, l’egoismo, l’arroganza, la prevaricazione, l’infantilismo, la competizione e l’inappagamento che dovrebbero contraddistinguere tradizionalmente ed in modo universale il rapporto di coppia (così si spiega l’ambientazione volutamente asettica, anonima, comune, non riconducibile a luoghi conosciuti). I personaggi, oltre che antipatici e detestabili (il che non è di per sé un male, lo erano anche i due protagonisti del felice film d’esordio di LaBute) nei loro vizi e vezzi borghesi, appaiono distanti, convenzionali, vuoti, fasulli (il che non capitava invece in “Nella società degli uomini”). I dialoghi sono ammuffiti, ridondanti, forzati e ripetitivi, spesso gratuitamente volgari (“Una scopata è una scopata e non c’è spazio per la tenerezza!” dice con eleganza Terri), il cinismo e la crudeltà sono preconfezionati o di riporto, l’analisi delle nevrotiche e confuse relazioni umane è approssimativa, superficiale e riduttiva. Marco Spagnoli ha genialmente parlato di “una visione del rapporto uomo donna totalmente fallocratico, fallocentrico e fallito dove la panacea viene rappresentata dalla violenza nei maschi e dall'omosessualità per le donne”. Alcune soluzioni narrative lasciano il tempo che trovano (il siparietto al museo con i vari protagonisti che, di volta in volta, commentano in modo differente con la gallerista Nastassja Kinski la visione di un quadro che allo spettatore resta invisibile, il ridicolo incontro in libreria tra Cary e Terri, la confessione scandalo di Cary in sauna ai suoi due amici), gli attori o sono insopportabili (Jason Patric, pure produttore, ma molto ci mette anche la voce sbagliata e inutilmente soffusa di Luca Ward) o appaiono spaesati e inadeguati (Ben Stiller). Meglio le donne anche se Catherine Keener meriterebbe copioni più sofisticati ed intelligenti. Impressionante, invece, la metamorfosi di Aaron Eckhart rispetto al film d’esordio del regista: imbolsito per la parte è il più convincente dei tre attori maschi, il solo che trova un appagamento sia pure solo nella masturbazione. La regia di Neil LaBute è annoiata ed anonima e anche la scrittura, vero punto di forza del film d’esordio, risulta piuttosto fiacca, unidirezionale (LaBute non ammette nel suo flaccido e triste campionario esistenziale una voce eticamente fuori dal coro che possa anche scompaginare caratteri e situazioni da manuale psicologico d’accatto), supponente e monocorde se è vero che il dialogo più divertente, sintesi perfetta della squallida morale del film, si riduce a “La vita è complicata, le persone non comunicano e tu non sei riuscito ad avere un’erezione.” Deludente e velleitario. Liberamente ispirato alla commedia “The country wife” del drammaturgo William Wycherley.

Voto: 4

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