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Kagemusha - L'ombra del guerriero

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kagemusha - L'ombra del guerriero

di sasso67
10 stelle

Non ricordo di avere visto un altro film che mostri una così stupenda gestione dei colori e delle ombre, sia nelle scene di massa (dove è evidentissima l'influenza dei pittori rinascimentali italiani e in particolare La battaglia di San Romano di Paolo Uccello, il mio dipinto preferito, nelle sue tre versioni) che in quelle dove si muovono pochi personaggi. Forse soltanto il Coppola del "Dracula di Bram Stoker" è riuscito, più di dieci anni dopo ad avvicinarsi a tanta maestria. Ma il valore di Kagemusha non consiste solo nel saper muovere schiere sterminate di soldati con armature lucenti e stendardi multicolori, sia a cavallo che a piedi, armati di lance o archibugi: Kurosawa sa descrivere i grandi drammi umani con passione (e com-passione) e ironia, prendendo spunto da vicende storiche e da drammi della letteratura classica (in altri casi, come per il successivo "Ran" del 1985, si ispirerà a Shakespeare).
Qui si narra la storia di un comune ladro che è il sosia di uno dei signori della guerra che insanguinarono il Giappone nel XVI secolo, finché uno di loro, Yeyasu Tokugawa prese il sopravvento, unificando il paese e proclamandosi shôgun. Questo sosia, o kagemusha, viene salvato dal capestro per fare da controfigura al principe guerriero Shingen Takeda che, una sera, sotto le mura di una città assediata viene colpito da un cecchino. Sul letto di morte il principe impegnerà il suo clan a non rivelare ad amici e nemici la sua morte per almeno tre anni e il kagemusha dovrà nel frattempo prendere il suo posto.
Senza dilungarmi nei particolari della trama, che non riserva grossi colpi discena ma è comunque interessante, vorrei dire che il valore del film risiede sia negli aspetti formali che, secondo me, restano insuperati almeno per quanto riguarda il cinema a colori, sia nella riflessione sull'uomo e il suo doppio, sul destino, sulla dignità umana e perfino sull'amore e sull'affetto per i propri cari. Come riferimenti letterari è stato spesso fatto il nome di Pirandello e del suo "Il fu Mattia Pascal", classico esempio di doppio e di sdoppiamento, ma io ci metterei anche molto Shakespeare e perfino l'"Odissea" di Omero (ammesso che sia di Omero), soltanto che qui anziché il cane che riconosce il padrone c'è un cavallo che smaschera l'impostore. Va anche detto, però, che pur essendo un film che, come tutti i grandi i film, parla dell'uomo universale e non soltanto di quel particolare personaggio, non è casuale che "Kagemusha" sia ambientato in quest'epoca: il periodo del crepuscolo del periodo dei samurai, prima che si trasformassero in funzionari statali e venissero sostituiti, come guerrieri, dagli eserciti regolari, è infatti quello che ha sempre esercitato un enorme fascino su Kurosawa. Un'epoca terribile, come dimostrano le stragi, ma anche seducente, umanamente e visivamente.
È comunque un film che va visto, uno degli imprescindibili della storia del cinema, uno dei migliori di Kurosawa (di cui vorrei vedere di più), almeno alla pari di "Dersu Uzala" e delle parti migliori di "Ran" e "Sogni" (i soldati nel tunnel). Qualcuno, compreso Aldo Tassone che ha curato il "Castoro" su Kurosawa, ha criticato la colonna sonora del film, considerandola troppo occidentale (e qui si può essere d'accordo, ma siamo al pelo nell'uovo: non ci si dimentichi che il film poté essere realizzato come Dio comanda anche grazie all'intervento produttico di Coppola e Lucas), e la presenza come protagonista di Tatsuya Nakadai, considerato poco carismatico. A me è sembrato sufficientemente autorevole per impersonare Shingen e sufficientemente rustico per fare il ladruncolo. Si guardi dunque "Kagemusha": servirà anche a capire meglio il cinema giapponese d'oggi, anche quello di Kitano.

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