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Gertrud

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

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La recensione su Gertrud

di Peppe Comune
8 stelle

Gertrud Kanning (Nina Pens Rode) è una donna forte e molto sensibile nella sfera sentimentale. Non è affatto soddisfatta del suo matrimonio con Gustav Kanning (Bendt Rothe), un avvocato di successo che sta per diventare ministro. Ha una relazione amorosa con Erland Jansson (Baard Owe), un giovane compositore e incontra dopo molto tempo Gabriel Lidman (Ebbe Rode), un illustre poeta che in passato è stato un suo passionale amante. Gertrud è una donna che vive l’amore in maniera assai totalizzante ed è davvero difficile corrispondergli. Perciò decide di lasciare tutti e tutto e ritirarsi a vivere da sola. Ormai vecchia, riceve la visita di un suo vecchio amico, lo psichiatra Axel Nygren (Axel Strobye), a cui confida con commossa tenerezza i tormenti del cuore che l’hanno accompagnata per l’intera vita.

 

http://kistenet.com/brandon/images/Blog/2009/October/Gertrud%202.jpg

Gertrud - Nina Pens Rode ed Ebbe Rode

 

“Gertrud” (dal dramma omonimo di Hjalmar Soderber) è l’ultimo film di Carl Theodor Dreyer, un dramma sull’amore e per l’amore, costruito come se i protagonisti fossero gli unici abilitati a discuterne e con una gravità nei toni che sembrano voler condurre alle parole definitive sull’argomento. Non è affatto una storia d’amore quindi, ma una ragionata riflessione sull’amore assoluto, quello che non accetta ne deroghe ne compromessi, ma solo una convinta e totale dedizione alla causa. Per questa sua ultima opera, il maestro danese accentua ulteriormente il rigore stilistico del suo linguaggio cinematografico giungendo, attraverso l’ausilio di inquadrature fisse e lunghi piani sequenza, ad un’essenzialità figurativa che porta la parola ad essere l’unico elemento dinamico in un quadro d’insieme di teatrale immobilità dei corpi. Particolare scenico fondamentale è il fatto che i protagonisti parlano tra di loro senza quasi mai incrociarsi con gli occhi, sempre intenti a guardare fissi davanti a se, come se gli scambi di battute, più che essere il frutto di particolari stati emotivi, fossero dei precetti sul sentimento amoroso da imparare a memoria e da declamare con ricercata atonalità d'espressione. Infatti, dialoghi fanno da cornice “ieratica” all’intera struttura del film, le emozioni e i sentimenti vengono veicolati dalle parole piuttosto che dagli sguardi, la voluta inespressività dei volti tende a rafforzare il loro contenuto speculativo e a convogliarvi tutta l’attenzione che l’autore vuole che gli venga riservata. Ciò non impedisce affatto di caratterizzare a dovere la psicologia di ogni personaggio e fare di Gertrud un icona al femminile di grande fascino e complessità. “Ho molto sofferto, e spesso ho sbagliato, ma ho amato”, dice Gertrud all’amico psichiatra, parole che qualificano l’amara sincerità di un esistenza passata a rincorrere la sofferta delineazione di un sentimento, il testamento in vita di una donna coscientemente avvinta dall’amore. Gertrud ama ed è amata, ma la sua idea di amore va sempre nella direzione opposta da come la intendono i suoi amanti, perché per lei l’amore è tutto, veramente tutto, per gli altri una componente della vita non necessariamente più importante del lavoro e delle ambizioni personali. Gertrud è l’incarnazione stessa dell’amore assoluto, un amore che si è sottratto allo scorrere leggero della vita per tendere all’annullamento di quelle umane debolezze che allontanano la carne dalla perfettibilità dello spirito. Gertrud domina continuamente la scena, di fronte a lei l’uomo si subordina con istintiva naturalezza al riconoscimento delle sue debolezze corporee, ogni legittima aspirazione si trasforma in un torto fatto all’integrità dei più alti sentimenti, ogni desiderio esclusivo della carne paga pegno all’inossidabile speranza dello spirito. Il rigore morale di Gertrud, l'austerità del suo percorso esistenziale, le battaglie scolpite ognuna nel cuore, il religioso abbandono della carne, la pongono in una condizione di solenne e imperitura attesa. L'anziano maestro Carl Theodor Dreyer parla ancora della morte, ma esorcizzandola questa volta nella prodigiosa vitalità dell'amore eterno. Grande cinema.

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