Espandi menu
cerca
Ordet

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

Recensioni

L'autore

mm40

mm40

Iscritto dal 30 gennaio 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 166
  • Post 16
  • Recensioni 10872
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Ordet

di mm40
10 stelle

Dio c'è. E' la religione, che non esiste. Cosa vuol dirci questa tragedia con finale surreale scritta dal pastore protestante Kaj Munk e messa in scena con un'austerità spettrale da Dreyer? Semplicemente questo: che la religione allo stato naturale non esiste, è solamente una creazione dell'uomo e non fa che causare litigi, sofferenze, vacui dibattiti e follia. Che poi la follia di Johannes venga premiata è solo l'ennesima dimostrazione della totale, imprevedibile casualità che gestisce gli affari terreni: Dio (ma sarebbe sempre corretto chiamarlo dio, in quanto si tratta di un'entità soggettiva ed interiore individuale, non di un personaggio barbuto che vive nel cielo o di chissà che altre fantasiose speculazioni) c'è, ma se ne frega di noi. E fa anche bene, a dirla tutta, perchè gli uomini sono stolti ed egoisti (Morten che pretende l'erede maschio a tutti i costi, il sarto che non concede la figlia ad un bravo ragazzo per divergenze confessionali), miscredenti come Mikkel (che però si ravvede dopo il 'miracolo' finale) o monomaniacali come Johannes (la cui strenua fede non lo ha certo salvato da una vita di catatonia ed incomprensione); in sostanza gli unici fedeli veri sono, appunto, i pazzi oppure i bambini, come la piccola che rimane la sola a credere nelle farneticazioni di Johannes. Il che è di una misantropia desolante. Due ore di interni cupi, luci basse e musiche quasi azzerate, con dialoghi spogli ed una lentezza nell'azione esasperante, amplificata dal continuo ricorrere al pianosequenza ad oltranza; un'angoscia incommensurabile attraversa Ordet e con quel finale surreale getta nello scompiglio qualsiasi certezza dello spettatore: che sia pessimo o lieto fine, di certo non pare una soluzione consolante (è stato un vero miracolo? E se lo è stato, come farsene una ragione? O forse il vero miracolo è che Morten ed il sarto riescano a riappacificarsi di fronte ad un dolore maiuscolo come quello della morte di Inger e del neonato?). Al ritmo soporifero ed all'algida messa in scena si oppone una pregnanza di riflessioni che lascia inevitabilmente stordito lo spettatore; occorre rassegnarsi ad amare la vita (dio, l'entità, la parola, l'anima, la forza insita in noi) in ogni sua forma e manifestazione, senza preoccuparsi di decifrare, etichettare o addirittura risolvere il mistero ed imporre le proprie conclusioni: il cuore dell'opera sta tutto racchiuso in questo pur banale - se letto superficialmente - concetto, come evidenziato anche dal dialogo della scena di chiusura. 10/10.

Sulla trama

Nelle campagne danesi vive l'anziano Morten con i tre figli: Anders, innamorato della figlia del sarto, che però si oppone all'unione a causa delle divergenze religiose con Morten; Johannes, studioso di teologia convintosi di essere la reincarnazione di Cristo e che vaga per il paese predicando; Mikkel, sposato con Inger e padre di due bambine. Inger è incinta del terzo figlio, finalmente maschio come Morten desiderava da tempo; ma il parto si complica ed il piccolo nasce morto, causando anche la morte della madre. Quando giunge a salutare il cadavere, Johanness chiede a Dio la resurrezione della donna, che avviene. Il sarto intanto concede la mano della figlia ad Anders.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati