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Dies irae

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dies irae

di orsodelceresio
10 stelle

Capolavoro di Carl Theodor Dreyer, parabola intensissima e drammatica sulla superstizione e sull'intolleranza umana. Un dramma da camera di una bellezza sconvolgente che affronta i temi del dolore e dell'ambiguità umana.

Tratto dal dramma del norvegese Hans Wiers-Jensen, il film è ambientato nel 1623 e affronta il tema della superstizione e dell'intolleranza.

Un'anziana signora, Marta di Herloff (Anna Svierkier) è braccata dalla folla che l'accusa di stregoneria. Terrorizzata, si rifugia presso l'abitazione del pastore protestante Absalon (Thorkild Roose): qui trova la giovane moglie di questi, Anne (Lisbeth Movin), che le offre rifugio, permettendole di nascondersi in soffitta. Marta, scoperta e arrestata, implora Absalon di slavarle la vita, rinfacciandogli peraltro di aver, anni prima, salvato la madre della sua seconda moglie, Anne, dalla stessa accusa per poterne sposare la figlia. Il pastore tuttavia non si lascia commuovere dalle lacrime e dalla disperazione di Marta e la consegna al braccio secolare dell'inquisizione. Torturata, viene costretta a confessare il suo patto con il demonio e quindi condannata al rogo. Nel frattempo ha fatto la sua comparsa Martin (Preben Lendorff Rye), figlio di primo letto del pastore, coetaneo di Anna. Tra i due sboccia un sentimento amoroso che Anna, in un momento di sconforto, rivela al marito confessandogli tutto il suo ribrezzo per il proprio matrimonio. Il pastore, sentite le dure parole della moglie, cade fulminato e su Anna si addensano le nubi del sospetto di stregoneria. Martin, in un primo momento, promette di difenderla da ogni accusa, tuttavia, durante il processo, si allontanerà da lei mettendosi dalla parte della nonna Merete (Sigrid Neeiendam) che ha sempre detestato la giovane nuora. Anna, profondamente delusa dall'atteggiamento del suo amato, si autoaccusa e si prepara ad affrontare la morte sul rogo.

Girato nel 1943 in Danimarca, durante l'occupazione nazista (dato di cui tener conto), è uno dei capolavori di Carl Theodor Dreyer. Il tema portante, potremmo dire l'architrave del film è, senza dubbio, la paura e la superstizione. L'intera vicenda è permeata da un senso di oppressione, di terrore. Si tratta di un'opera intensissima, girata in uno splendido bianco e nero che sembra voler esaltare luci e ombre dei protagonisti; l'azione, che procede lentamente proponendo inquadrature che rimandano a suggestioni pittoriche (s'intravvedono la figuratività di Rembrandt e di Vermeer), si svolge prevalentemente in interni. In questo senso possiamo dire di trovarci di fronte ad un vero e proprio dramma da camera. A fare da contrappunto e ad allentare appena un po' la tensione drammatica, troviamo la scena della passeggiata dei due amanti Martin e Anna nella campagna circostante l'abitazione, nonché la loro breve gita in barca nel  paludoso lago lì presente. Ma la fitta vegetazione che occupa in parte lo specchio d'acqua sembra già la metafora delle imminenti difficoltà che attendono i due giovani e della incombente fine del loro amore. Un film complesso e bellissimo, nel quale lo spettatore è spiazzato anche dall'impossibilità di dare giudizi certi su qualunque personaggio: ognuno di essi, infatti, è caratterizzato da un'ambiguità di fondo che impedisce, di fatto, di comprenderne e inquadrarne la natura. Ciò che rimane, l'unica certezza che emerge con forza è la condanna del dolore e della morte intesi come veicoli per raggiungere la salvezza eterna. Chiaro e forte è l'orrore che lo spettatore prova nei confronti della superstizione e del desiderio, da parte dell'uomo, presente in ogni epoca, di creare il mostro a tutti i costi, di farne il simbolo del male e di utilizzarlo per esorcizzare le proprie paure.                  

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