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Sussurri e grida

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Sussurri e grida

di lino99
8 stelle

Un dramma psicologico e sensoriale, tra le atmosfere inquietanti e rarefatte de “L’ora del lupo” e l’analisi della psiche femminile di “Persona”

Il fotogramma più famoso di questo Bergman ha uno sfondo e degli immobili con un rosso acceso, il primo elemento che l’occhio dello spettatore osserva. Il secondo sono le tre donne inquadrate con un totale, e tra queste una, ovvero Liv Ullmann, è seduta. Deduciamo dunque da questo primo quadro che il film in questione è intimista, per lo più ambientato in interni, dedito alla messa in scena di una vicenda familiare, personale, e in cui un membro dell’aggregazione è debole. Tuttavia delle tre sorelle in questa inquadratura ne troviamo solo due: la terza fuori campo è la persona in difetto, la sventurata che ha riunito le sue consaguinee e le ha costrette ad una convivenza forzata. In questa storia Agnese, la sorella malata, sembra essere il prodotto degli attriti e delle contraddizioni del resto del nucleo familiare, incapace di salvarla e che oltretutto assiste controvoglia. La violenza della pellicola sta proprio in questo aspetto: i sussurri e le grida del titolo, gemiti di dolore di Agnese, possono considerarsi il principale elemento horror, che non è fine a sé stesso, ma dimostra l’inutilità e l’egoismo delle altre due sorelle, impotenti di fronte al male, che non riescono a consolare o a entrare in empatia. La sofferenza si consuma in una villa, e nonostante il giardino (unico locus amoenus, che ricalca Pieter Brueghel il giovane), la collocazione spaziale si configura come prigione in cui si scatenano e si sfogano tutti i punti di vista delle protagoniste, inclusa la cameriera, l’elemento esterno che fa culminare l’attaccamento ad Agnese in un abbraccio materno, con l’iconografia della “Pietà”. Esito della tesi secondo cui la famiglia non è affidabile, e anzi spesso è una fitta rete da cui è difficile liberarsi. Respiri affannosi che si riflettono nel montaggio, con le inquietanti transizioni rosse, mentre il silenzio non manca, ed è affiancato solo da due brani classici: Op. 17 n.4 di Chopin e la Suite n.5 in do minore di Bach. Nella poetica di Bergman non possono mancare i volti, i primi piani che colgono espressività esplicite e disarmanti. In questo caso l’esempio lampante è nella scena del confronto di Liv Ullmann con il dottore: un monologo che descrive i suoi difetti fisici e del comportamento, rivelando la verità dietro alle apparenze. Un flusso di parole ben accompagnato dai lineamenti mai stabili dell’attrice, in grado di comunicare la sua personalità provocata. Un dramma psicologico e sensoriale, tra le atmosfere inquietanti e rarefatte de “L’ora del lupo” e l’analisi della psiche femminile di “Persona”. Un film quasi ad episodi, poiché ogni scena manifesta un particolare stato d’animo di ogni protagonista. Una struttura narrativa dunque poco lineare e più concentrata sull’alternanza delle situazioni dei personaggi.

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