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Happiness

Regia di Todd Solondz vedi scheda film

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La recensione su Happiness

di Kurtisonic
8 stelle

Uno dei quadretti famigliari più spietati e ironicamente feroci che il cinema contemporaneo abbia proposto negli ultimi venti anni. Potrebbe essere un capitolo corposo di America oggi, perché di Altman o della penna corrosiva di Carver, Happiness ha la stessa lucidità, il coraggio quasi morboso, la sfrontatezza. Con toni grotteschi il regista Todd Solondz  cala le sue pesantissime carte da gioco con una leggerezza e una semplicità sbalorditiva. Tre sorelle diverse fra loro ma uguali nella “cosmetica” nevrosi che le avvolge, i due anziani genitori in crisi, dei vicini di casa tanto comuni quanto sgraditi. Con dialoghi al vetriolo, inquadrature e cromatismi portati all’eccesso, Happiness diverte, preoccupa e inquieta. Solondz rappresenta un quadro di decadenza fisica e morale del nucleo famigliare benestante e ipocrita, che rappresenta la base ideologica degli USA. I rapporti umani non contano più niente, ognuno vive avulso dalla realtà, impegnato a cercare simboli di un riconoscimento sociale indistinto, contrassegnato unicamente dal proprio potenziale consumistico, egoista, rimbecillito da mediatiche illusioni liberatrici. All’interno del quadro di famiglia emerge la figura carismatica per quanto il personaggio risulti artificialmente “vero” di Bill (un plastificato Dylan Baker). E’ il marito di una delle tre sorelle, uno psicologo, lo strizzacervelli così vicino ai pensieri profondi degli altri, che s’immagina di sterminarli a colpi di fucile nei giardini pubblici, convinto dalla sua mente alienata di potere liberare qualsiasi pulsione, e di sfuggire ad ogni controllo razionale. E’ incapace di ascoltare il figlio adolescente, la moglie, i pazienti e sé stesso, si rivela un pericoloso pedofilo anche se le apparenze lo salvaguarderebbero, se vuole lui comunica con umanità, partecipazione, è moderno, attento,  ma è fasullo e malato soprattutto. Lo scambio di battute con il figlio in lacrime alla scoperta delle bestialità commesse dal padre è coinvolgente e drammatica, e fa recuperare al film una identità fortemente credibile e critica verso i canali assodati della relazione umana, compresa quelli a pagamento con cosiddetti esperti del settore,  e le convenzioni della società borghese…Le tre sorelle sono unite dall’insoddisfazione, ciascuna crede di vedere nelle altre la forma più vicina alla propria irraggiungibile realizzazione, non rendendosi conto che la loro mente è plasmata sull’adesione di modelli culturali evanescenti, senza nessuno spessore sentimentale. I vicini di casa  sono inquietanti single, obesi e sudaticci, e sanno ciò che vogliono. Uno, l’ottimo Philip Seymour Hoffman, attratto dal miraggio del sesso facile e sfrenato, è un impacciato maniaco molestatore telefonico, la sua vicina di pianerottolo anch’essa desiderosa di affetto e di amore si rivelerà parecchio diversa da come si presenta, impaurita, premurosa, dedita a compensare il proprio vuoto affettivo cibandosi della materialità scartata dagli altri. I vecchi genitori sulla strada del divorzio per noia, mostrano solo nell’intimità il distacco e la freddezza che sono invece il collante per tenerli insieme a dispetto dell’esaurirsi dei sentimenti, dell’incapacità di accettare di invecchiare. L’elemento di raccordo con tutti i personaggi è il ragazzino, il figlio di Bill, dall’aspetto sfigato e imbranatello, il cui desiderio è quello di “venire,” contagiato dai pruriti ormonali dell’età. Solo la polverizzazione dei rapporti famigliari, lo smembramento del nucleo sociale, l’abbandono del “nido” diranno se il giovane impegnandosi a dovere riuscirà nel felice intento. 

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