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Happiness

Regia di Todd Solondz vedi scheda film

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La recensione su Happiness

di pazuzu
8 stelle

Joy è romantica e sognatrice, lavora in un call center e a tempo perso scrive canzoni: si è appena lasciata con Andy, che, dopo un addio burrascoso («fino al giorno in cui tirerai le cuoia merda sarai e merda resterai»), decide di suicidarsi; Helen è stanca della sua vita frivola, ha successo nel lavoro e tanti uomini, ma il primo giunge senza meriti concreti (scrive romanzetti erotici da due soldi) mentre i secondi sono solo belle comparse: così, quando a chiamarla è un molestatore telefonico, lei decide di chiedergli un incontro; Trish si sente realizzata, ha 3 figli e un marito, Bill, che dice di amarla ma che in realtà si sente attratto sessualmente dai compagni di classe del figlio undicenne Billy che, a sua volta, è molto preoccupato perché, a differenza dei suoi coetanei, ancora non riesce a venire.
Joy, Helen e Trish sono 3 sorelle, e intorno a loro si sviluppa Happiness, gelida e indimenticabile commedia al vetriolo. Todd Solondz è un fiume in piena, sfida ipocrisie e luoghi comuni, li abbatte uno ad uno e firma il suo capolavoro. L'essenza del film è in uno scambio di battute tra Diane e Lenny (lui è il padre delle 3 sorelle, lei una sua amica): «le donne sono tutte delle patetiche comari e gli uomini sono solo patetici». Senza via di scampo, mediamente falliti, fondamentalmente egoisti eppure così paurosamente reali e credibili, i protagonisti di Happiness sono il ritratto spietato di un'umanità disumana, l'istantanea impietosa dello stato delle cose nella borghesia statunitense nell'Anno Domini 1998, capace con il tempo di mantenere intatti forza, attualità e cattiveria.
Fotografato con colori pastello acidi e densi e recitato superbamente, Happiness è un pugno nello stomaco al sogno americano, una bordata difficilmente arginabile per il perbenismo imperante: i rapporti umani sono superficiali e di fatto inconsistenti, irrimediabilmente compromessi in origine dal decadimento dell'istituto (ex) fondante denominato famiglia, ridotta ormai a natura morta (o meglio, marcia) dal cui nucleo germogliano i frutti degeneri di una società malata, individui piatti e moralmente sconfitti, chiusi ognuno nel proprio guscio e destinati per indole ad una solitudine più o meno rassegnata e più o meno consapevole. Memorabile il finale, esilarante beffardo e tremendamente amaro.

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