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La sala di musica

Regia di Satyajit Ray vedi scheda film

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La recensione su La sala di musica

di port cros
9 stelle
15ma Festa del Cinema di Roma - Retrospettiva Satyajit Ray alla Casa del Cinema
 
Uno zoom out sul volto del disfatto protagonista Biswambhar è l'inquadratura che apre questa pellicola, tratto da un racconto dell'autore bengalese Tarasankar Bandyopadhyay, che non lascia spazio alcuno alla speranza nel delineare con spietatezza il declino di una classe sociale. 
 
L'ascolto della musica proveniente dall'abitazione del facoltoso vicino Ganguli, che sta organizzando una sfarzosa cerimonia di iniziazione per il figlio,  provoca fastidio all'orgoglioso nobilotto Biswambhar. Il vicino è un nuovo ricco che non può vantare il prestigio familiare del sangue del nostro protagonista,  che sfoggia nel salone del suo imponente palazzo i ritratti di generazioni di illustri antenati, proprietari terrieri che dominavano nei tempi d'oro sulle distese rurali del Bengala.
 
È una lotta senza senso e priva di contatto con la realtà quella ingaggiata da Biswambhar per mantenere intatto il proprio prestigio, mentre le finanze un tempo floride si stanno drammaticamente assottigliando, contro le crescenti forze economiche di Ganguli, che può permettersi di organizzare feste sempre più lussuose e persino di dotare la sua casa di energia elettrica, l'ultima comodità proveniente dall'Occidente. 
 
Un'invidia divorante ed un'incapacità di accettare l'ineluttabile decadenza della sua casata lo portano ad impegnare persino i gioielli della moglie per organizzare nella propria Sala della Musica un recital che rimanga negli annali e ad indebitarsi progressivamente per sostenere queste inutili spese di rappresentanza, accelerando così la propria rovina per mantenere una facciata di splendore.
 
Rovina che non è solo economica, dato che il rientro precipitoso di moglie e figlio per la festa provocherà la loro dipartita in un naufragio quando la tempesta rovescia la loro imbarcazione. Nemmeno questa tragedia fermerà la smania ed i complessi dell'uomo, sordo ai consigli di moderazione del suo amministratore.
Ma nel disperante finale a Biswambhar, persi il futuro e la discendenza, non rimane che rimirare le glorie passate immortalate nei quadri degli antenati, mentre le fiammelle dei lampadari di cristallo della sala della musica si spengono una dopo l'altra in un'oscura premonizione. 
 
Film accostato, durante la conversazione dei critici alla Casa del Cinema, al Gattopardo di Visconti, certo si discosta dal neorealismo della trilogia di Apu non solo per il tema,  la decadenza della nobiltà invece della seppur drammatica ascesa dei figli delle classi rurali,  ma anche per lo stile che abbandona la semplicità neorealista per una ricercatezza di fattura e di composizione.

Il titolo suggerisce la centralità della partitura musicale, incentrata sulle nenie della tradizione indostana, genere che qui di sposa molto meglio al mezzo cinematografico rispetto all'indigesto The Disciple presentato un mese e mezzo fa alla Mostra di Venezia.

 
Ray conferma, anche in uno stile differente dai suoi capolavori d'esordio,  la potenza della sua visione, sin dalla prima inquadratura già citata, alla straziante scena di Biswambhar che porta il cadavere del figlio in braccio, all'ultima folle cavalcata sul greto essiccato del fiume,  ai giochi di riflessi tra gli specchi e i cristalli della sala della musica
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