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Central do Brasil

Regia di Walter Salles vedi scheda film

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La recensione su Central do Brasil

di Peppe Comune
8 stelle

Dora (Fernanda Montenegro) è una maestra elementare in pensione. Con quello che prende con ce la fa a vivere e così "arrotonda" scrivendo lettere alla stazione centrale di Rio de Janeiro. Un giorno gli si presenta Ana (Soia Lira) per una lettera da spedire al marito che l'ha lasciata sola col piccolo Josuè (Vinicius De Oliveira). Poi Ana muore in un tragico incidente e Josuè rimane solo col desiderio di conoscere il padre che non ha mai visto. Si presenta da Dora, che prima lo affida ad una sedicente organizzazione che si occupa dei bambini soli, e poi se lo va a riprendere con un azione temeraria ritrovandosi ad accompagnarlo in un viaggio che si rivelerà vivifico anche per lei.

 

 

"Central do Brasil" (Orso d'oro a Berlino) è un film di candida purezza, tanto lineare nella sua struttura narrativa quanto sincero nei suoi intenti analitici. Walter Salles tratta la questione socio politica del Brasile in maniera tangente, facendone affiorare aspetti emblematici dai finestrini di un pullman o sullo sfondo di incessanti richieste d'aiuto, senza speculare affatto sul "pietismo terzomondista" ma investendo sulla forza evocativa di una storia rubata dalla vita. Un film che scute come uno schiaffo che arriva inaspettato e commuove con la grazia di una parola spesa bene. Si racconta di un viaggio nel cuore malandato di un paradiso dimenticato, tra i segni evidenti di una miseria che rende vittime chi non l'ha prodotta e la fede incondizionata in un Dio a cui ognuno affida le ultime briciole di speranza. La vita scorre lenta in questo spaccato di mondo violentato da "invesimenti" andati male, dove si ruba e si uccide con la stessa facilità di un respiro e dove le uniche aspettative di riscatto sociale sembrano essere custodite nelle mani di santi benefattori. L'inizio è uno scorrere di facce davanti al banchetto di lavoro di Dora, poveri analfabeti che per "un real" vi depositano notizie d'affetto e aspettative miracolose, per ingannare l'attesa di un'altra delusione probabilmente, o per donarsi un altro tentativo. Dora li vede passare uno ad uno queste persone con la dignità portata a spalle e la sofferenza negli occhi, gli fa da tramite verso quello che per loro è l'ignoto regno della parola scritta, con la superbia di chi sa di poter esercitare un pò di potere per questo, ma con gli occhi che rivelano carenza di affetti e un'esistenza comunque precaria. Il piccolo Josuè ha perso la madre e cerca ardentemente il padre, si lega a Dora istinivamente, perchè ha capito che quella scritturale è capace di regalare l'illusione che le lettere che scive e invia possono portare in dono i desideri profondi che contengono. Dopo un primo momento di malcelato disturbo, Dora asseconda questa istintività del bambino, perchè in fondo anche lei ha bisogno di una svolta emotiva, di rimuovere un pò di scorie che gli hanno rabbuiato la vista e indurito i sentimenti. L'animo vince le flebili resistenze del corpo e così si ritrova dentro un pullman lungo un percorso che dovrà concludersi alla fine di una speranza, attraversando l'anima di un paese che riaccende la nostalgia per i baci che non si è saputi dare e i volti che non si è imparati a memoria. Il loro rapporto passa dalla voglia di sopportarsi alla felicità di diventare finalmente complici, dalla necessità di doversi lasciare alla paura di dimenticarsi. Un viaggio amaro condito dalla dolcezza di una bella amicizia in divenire dunque, che ha i connotati tipici dell'iniziazione alla vita per l'uno, e una vivifica ricognizione esistenziale per l'altra. Rimangono le fotografie che li ritraggono insieme e le lettere che Josuè dovrà imparare a leggere da solo.  

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