Regia di Jacques Becker vedi scheda film
Pellicola tutta giocata sulla pesantezza dei particolari: rumori, espressioni, sospiri, tic, che si stagliano nel silenzio pulito di un carcere forse troppo poco "cattivo" per essere vero. Una cattiveria che manca sia da parte dei secondini (fatto salvo qualche piccolo abuso), sia, soprattutto, da parte dei detenuti. Ma forse proprio questa assenza di pulsione violenta di ruolo, degli stereotipi legati alla legge del più forte - che si esprime forse solo nella scena finale, in quel "povero" detto dal recluso più carismatico al traditore, presagendo una legge del taglione lasciata all'immaginazione dello spettatore - restringe l'ottica sulle dinamiche di gruppo che,danno un senso al vivere dell'individuo. La regia ci rende una sorta di documentario sul come si evade, poiché ogni operazione del progetto di fuga è descritta quasi in tempo reale. Tuttavia questo verismo narrativo ha un neo, vale a dire l'improbabilità che nella realtà i forti rimbombi di una clava di ferro che scava nel cemento nojn fossero percepiti dalle guardie. Infine, forse la pellicola sarebbe stata più saporita se condita con maggiori conflitti tra i conviventi nella cella.
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