Regia di Leigh Whannell vedi scheda film
Quasi 90 anni dopo la prima pellicola, oltre 120 anni dal libro scritto da H. G. Wells, torna L’uomo invisibile rileggendo i tempi di oggi, pessimi. Un filmetto risibile quanto è politicamente #metoo, opportunista, corretto, con buona pace di chi sostiene il contrario: il poliziotto di colore buono, la povera donna schiavizzata che tenta di fuggire dall’oppressore fidanzato bianco e cattivo.
L’inizio svela già tutto: il malvagio è lui, non se ne conoscono i motivi, e per le due ore, interminabili, il regista mostra inquadrature, movimenti di camera, riprese da buon film horror ma estremamente lunghe, sbagliate nei tempi, sfiancanti, cercando di ottenere tensione, terrore, spavento che non possono esistere, purtroppo, perché oltre ad essere tutto telefonato, chi guarda sa che l’uomo cattivo è lì, invisibile ma visibilissimo, bianco e predatore. Non funziona neanche il sottile filo che separa la ragione dalla follia: non c’è follia, noi lo sappiamo bene quindi, non c’è sorpresa. Un film che sembra sia piaciuto a molti ottenendo voti alti e recensioni entusiastiche, che mi lasciano basito. Ma davvero un film simile può piacere?
Finale compiacente e peggiore delle due ore appena viste. Il motivo sta nel personaggio interpretato dalla brava attrice Elisabeth Moss, troppo pompata. Ha uno sguardo allucinato e ci si domanda chi è davvero il fuori di testa tra i due “amanti”!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta