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L'uomo invisibile

Regia di Leigh Whannell vedi scheda film

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La recensione su L'uomo invisibile

di alan smithee
7 stelle

Una brillante giovane donna architetto sta cercando di sfuggire da una relazione diventata insopportabile, impossibile, dalla stessa condivisa ormai da tempo con un giovane, brillante quanto maniacale scienziato milionario, esperto in congegni ottici, di cui è stata un tempo innamorata. Un uomo possessivo e prevaricatore, che ora la sta incastrando, con una determinazione e ancor più una violenza sempre più senza controllo, all'interno di una relazione che si sta trasformando, per la vittima, in una vera e propria prigionia, all'interno della magnifica ed avveniristica villa hi tec a picco su una scogliera, che probabilmente la stessa donna ha progettato e concepito per lei ed il suo uomo, ma che si sta trasformando in una vera e propria prigione.

Incontriamo la protagonista Cecilia mentre sta attuando una fuga in piena notte, organizzata con la complicità della sorella, mentre si appresta a drogare il consorte per poter sfuggire alla sua possessività che ha oltrepassato ogni umana ragione e limite di liceità.

Il rifugio presso la casa di un amico della sorella, non permetterà alla donna di tenersi al riparo dal progetto del folle consorte, che utilizzerà, per dare corso al suo sordido intento possessivo, una particolare tuta di sua invenzione, in grado di renderlo completamente invisibile.

Ma soprattutto inscenando la sua morte per suicidio, circostanza che permetterà al folle e giovane scienziato di insediare in tutti i modi la consorte, la quale, resasi conto molto presto della presenza invisibile del suo folle ex compagno, verrà ritenuta pazza da chiunque, soprattutto quando la sorte dei pochi amici e parenti disposti a sostenere la donna, verrà compromessa, a causa di gravi e incontrovertibili pericoli ed agguati scientemente premeditati in grado di procurare loro una fine funesta.

Dai suoi albori il cinema si è sempre dedicato con passione alle vicende dell'uomo invisibile, a cui molti registi anche di fama (James Whale innanzi tutto, ma anche maestri contemporaneo come John Carpenter o Paul Verhoeven, per non parlare di tanto cinema di genere e trash che ha sempre dedicato tempo e le limitate risorse a disposizione, a questo fosco ed impalpabile personaggio, quasi sempre tutto nevrosi e risentimento), hanno dedicato il loro tempo con produzioni a vario titolo riuscite e soddisfacenti.

Tornare sull'impalpabile luogo del delitto poteva in effetti considerarsi una insistenza fuori luogo, un azzardo, una scommessa persa in partenza.

Dopo il successo ed il positivo riscontro ricevuto con il suo secondo lungometraggio, il teso ed inquietante Upgrade, l'attesa nei confronti della nuova opera del regista australiano Leigh Whannell non era forse spasmodica, ma riservava diversi motivi per incalzarci nella visione di questa sua nuova fatica.

Un horror lungo oltre due ore, dunque fuori da ogni tipico schema di genere, che sa risultare accattivante, incalzante, teso quanto basta per tener desta l'attenzione sulla protagonista, una Elisabeth Moss che, fino ad ora, ho sempre un po' sottovalutato, e della quale mi accorgo solo ora appieno delle valide potenzialità espressive, in grado di renderla appropriata - con la sua bellezza tutto sommato possibile e pertinente, non proprio straripante - per rendere un personaggio di donna perseguitata da quello che - straordinarietà delle dinamiche e circostanze a parte - costituisce uno dei tanti, ahimè frequenti episodi barbari di prevaricazione nel rapporto di coppia da parte dell'uomo a scapito della donna.

Whannell infatti si concentra molto coerentemente sulla invisibilità ed impalpabilità del suo uomo invisibile, che appare fino ad una buona parte della vicenda come una mera fissazione nella mente ritenuta senza controllo della tormentata protagonista, e rinuncia a eventuali star maschili disposte ad assumerne le pur evanescenti sembianze, come era successo già in passato per star del calibro di Claude Rains per Whale, e poi Kevin Bacon per Verhoeven, o addirittura Chevy Chase, nell'azzardata ed un po' cialtrona, ma sicuramente originale visione a cura di John Carpenter.

La Moss finisce per impossessarsi fisicamente del film e della storia, che, per una volta, tiene in sordina il suo uomo invisibile al minimo funzionale necessario per renderlo una minaccia della quale solo noi del pubblico riusciamo a comprenderne le reali dinamiche, assieme alla vittima. Una scelta narrativa che mi ha convinto, e che inevitabilmente sacrifica il divismo del personaggio solo apparentemente al centro della vicenda, utilizzando più assennatamente un attore "qualunque", designato a rappresentarlo fugacemente nel veloce incipit, e nel concitato, imprevedibile e incalzante finale.

Certo, aver avuto a disposizione come chicca divistica un Jake Gyllenhall per il ruolo-cameo dell'uomo invisibile, anche in questo contesto in cui la sua apparizione costituisce davvero una parte da poche pose, al posto del decisamente più "qualunque" Oliver Jackson-Cohen, avrebbe forse contribuito a dar ancor più fascino e lustro ad una pellicola che tuttavia convince e appaga in questo suo concentrarsi sul dramma personale di una donna e moglie ritenuta folle e delirante da chiunque, anche dalle poche persone care ancora disposte a starle vicino, ma senza per questo rinunciare completamente alle dinamiche del genere, e alla tensione di una vicenda che riesce a reggere anche per oltre due lunghe ore. 

 

 

 
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