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Il cattivo poeta

Regia di Gianluca Jodice vedi scheda film

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La recensione su Il cattivo poeta

di Furetto60
6 stelle

Biopic sugli ultimi anni di vita di Gabriele D'Annunzio. Ottimo Castellitto. Discreto il film

Siamo nel 1936, in Italia. Un giovanissimo federale, tale Giovanni Comini, ambizioso e tenace sostenitore del fascio, a cui è iscritto dal 1926, di stanza a Brescia, viene comandato e distaccato dal Segretario del Partito Achille Starace, presso il Vittoriale, che ormai da 15 anni “ospita” Il poeta Gabriele D’annunzio” che per quanto fedele a Mussolini, si è sempre dichiarato contrario all’imminente alleanza con Hitler, giudicato un “ridicolo nibelungo, uno “Charlot”. Comini si insedia al Vittoriale e da lì inoltra a Starace regolari rapporti su ogni attività del Vate.
Il film è in sostanza un biopic sugli ultimi anni della vita di D’annunzio alias Sergio Castellitto, il quale a questo punto aveva già capito la deriva politica in cui stava scivolando il paese, e che Mussolini avrebbe portato l’Italia al macero. E’ per questa ragione che era stato messo in condizioni di non interferire “isolato” in una gabbia dorata come il Vittoriale. Il film senza avventurarsi in inappropriati revisionismi storici, ma mantenendo una sorta di imparzialità  narrativa, descrive efficacemente il clima in cui avvenivano questi eventi; D’Annunzio poeta di rilievo, assimilato all’ideologia fascista e per questo stigmatizzato, anche se inizialmente ne è stato un simpatizzante, non sappiamo quanto in buona fede, ne ha poi preso le distanze, quando ha visto che il “Duce” aveva imboccato una deriva autocratica e autoreferenziale, senza concepire una qualsiasi idea di democratico confronto. Il “comandante” nei suoi ultimi anni, rimase a rimuginare nel suo Vittoriale, vero e proprio protagonista oltre che set, sullo stupendo Lago di Garda, consumando smodatamente cocaina, antidolorifici e vagheggiando irreali speranze che l’asse Roma-Berlino si interrompesse prima dell’apocalisse, logorato dalla lunga clausura in “quei giardini che appaiono foreste, in quel placido lago che si fa oceano” e profondamente deluso dall’Italia ormai sull’orlo del disfacimento sociale, umano e politico. Questa convinzione lo accomuna a Comini, il quale è giovane e soprattutto ingenuo, prima entusiasta degli ideali fascisti, assiste angustiato, alle persecuzioni inflitte ai dissidenti, consapevolizza il clima di caccia alle streghe in cui era finito il paese e dopo aver preso atto dello scellerato patto stretto con l’alleato tedesco, esterna i suoi tormentati dubbi, nelle epistole inviate al partito, da cui verrà infatti espulso. Quando in un surreale incontro, il duce al ritorno da Berlino, intravede Il Vate che gli si accosta, sussurrando un infausto pronostico, Mussolini lo ignora e prosegue la sua coreografica parata. Castellitto giganteggia, il film non è male

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