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La confessione

Regia di Costa-Gavras vedi scheda film

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La recensione su La confessione

di Peppe Comune
7 stelle

Praga, 28 giugno 1951, il il viceministro degli esteri della Cecoslovacchia Artur London (Yves Montand) viene arrestato con l'accusa di cospirazione contro il Partito Comunista Sovietivo. Ne seguono lunghissimi interrogatori dove, tra l'estenuante ripetizione delle stesse domande e l'utilizzo di metodi coercitivi affidati all'attenta regia dell'inquisitore Kohoutek (Gabriele Ferzetti), si ritrova a confessare crimini che non ha mai commesso. Sottoposto ad un processo farsa, dove comunque eviterà la pena di morte comminata ad altri membri del partito, segretario nazionale incluso, e sconfessato pubblicamente dalla stessa moglie (Simone Signoret), Artur London verrà riabilitato solo nel 1968, quando "i conservatori erano stati estromessi dalla direzione del partito cecoslovacco e stava per cominciare un epoca nuova, il popolo riprendeva la parola dopo anni di silenzio, di passività, di indifferezza e di disprezzo". Quando la Primavera di Praga venne soffocata nel sangue dall'invasione in armi dall'esercito del Patto di Varsavia.

 

 

Tratto dal romanzo autobiografico di Lise e Artur London, "La confessione"rientra in quel filone del cinema d'inchiesta di matrice storica tanto caro all'autore greco Constantin Costa Gavras. Forma con "Z. L'orgia del potere" (sul golpe militare che intaurò il regime dei colonnelli in Grecia) dell'anno precedente e "Missing. Scomparso" (sulla scomparsa di un giornalista in un paese del Sudamerica e su quel male a bassa intensità compiuto dai criminali in doppiopetto delle "democrazie" occidentali) che verrà dopo, una sorta di trilogia sulla degenerazione del potere politico con la rappresentazione dei modi con cui diverse forme di gestione dello Stato sono accomunate dalla "dispotica" conservazione dello status-quo. Rispetto agli altri due, è più marcata la matrice documentaristica e meno precisato il carattere spettacolare. Del resto è la natura stessa del soggetto filmico rappresentato a produrre questi effetti dato che, più si tende ad aderire alla reltà storica che si intende descrivere e più si entra nella stessa orbita voluta dai dittatori sovietici e fare del film la denucia fedele di un punto di vista imposto con metodi coercitivi : quelli di arrivare ad estorcere una pubblica confessione di colpevolezza attraverso la claustrofobica restrizione degli spazi vitali e la nauseante ripetizione dei tempi d'attesa. In effetti il film difetta in lunghezza e in alcuni casi risulta essere gratuitamente didascalico, ma riesce a tenere suffiecientemente desta l'attenzione e, soprattutto, ha il merito di restituire abbastanza bene i tratti salienti dell'odioso regime staliniano : la matrice "messianica" del suo indirizzo politico, la pervicacia con cui gli ottusi inquisitori cercano di modellare ogni "verità" ai dettami imposti dall'alto, l'indiscussa fede nel partito secondo l'assioma che "è meglio sbagliare in seno al Partito che aver ragione fuori di esso", il senso di smarrimento cui viene a trovarsi l'imputato che, a forza di sentirsi terrorizzato, "non di essere colpevole, ma di essere scambiato per tale, rischia di diventarlo". Il film è un lungo interrogatorio in stanze strette ed anguste, una serie di piccole e grandi angherie rivolte contro un uomo che è intimato a stare sempre in movimento e a non potersi mai sedere per far riposare le gambe, un uomo che è stato ridotto a numero : tutto è utile per il sovvertimento del senso delle parole ("A forza di sentire trotskista, titoista, nazionalista borghese, queste parole perdono del loro significato. Se mi avessero chiesto di dire, mio figlio, il piccolo trotskista Michele, ha compiuto un anno, io lo avrei firmato")  e il ribaltamento logico dei fatti, tutto è funzionale per estorcere una confessione che deve sposarsi alla perfezione con gli interessi vitali del partito. Perchè il "Partito non si sbaglia mai", non può sbagliarsi, pena la messa in discussione della fede rivoluzionaria, quella pensata per il popolo e servita a pochi criminali per condannare a morte le libertà. Artur London è schiacciato dal peso opprimente di quella mastodontica macchina burocratica che lui stesso ha contribuito a mettere in piedi e che gli si rivolta contro come un mostro che solo adesso riesce a scorgere in tutta la sua orribile forma, ora che si trova dalla parte oppressa della faccenda, spogliato dei suoi poteri ed esautorato dalla vita. Sarà per questo che è rimasto comunista anche dopo la fine della sua tormentata vicenda, perchè "Dio è morto, ed è proprio ora che si può essere comunista", perchè proprio la sua esperienza gli aveva fornito "la prova schiacciante : il Socialismo è nella libertà delle masse come il pesce nell'acqua". Un buon film del bravo Costa Gavras, decisamente figlio del suo tempo ma con un timbro da documento storico che vale a mantenerlo un prodotto da consigliare.

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