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Halloween 6. La maledizione di Mike Myers

Regia di Joe Chappelle vedi scheda film

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La recensione su Halloween 6. La maledizione di Mike Myers

di scapigliato
6 stelle

Poco prima che Wes Craven pungolasse lo slasher con Scream (1996) e ne ridefinisse le coordinate e il linguaggio, Joe Chappelle, sotto il nume tutelare di Moustapha Akkad e del figlio Malek, dirige quello che poteva essere l’episodio spartiacque della saga apocrifa – ovvero quella che abbandona la linea Laurie Strode e sceglie invece l’alternativa dei parenti. Infatti, in questo sesto capitolo scopriamo le radici del Male Puro. Michael Myers è immortale perché maledetto dal Thor, un simbolo runico legato a sacrifici celtici con cui mondare il mondo dai suoi flagelli. Così, Michael, continuando ad uccidere i suoi discendenti assicurerebbe al mondo pace e serenità. Una pista interessante, ma fuori luogo, tra l’altro trattata in modo posticcio e poco convincente. Non solo, questa spiegazione alle radici del Male Puro, sicuramente più interessante di quella di taglio sociale di Rob Zombie che nel suo sfortunato, infelice e inutile dittico (2007; 2009) indaga l’infanzia di Michael per dare risposte a ciò che invece dovrebbe restare nel vago e sacro mistero del mito, è una spiegazione che allontana dal patto narrativo il pubblico storico della saga interrompendo la felice sospensione di credibilità a cui si era abituato e su cui aveva costruito la propria mirabilia immaginifica.

Il film di Chappelle è però sorprendentemente il più splatter della serie. La crudezza dei delitti di Michael e l’estetica truculenta ed effettistica con cui esplodono teste, vengono tagliate gole, inforcate donne in fuga, etc., non è rintracciabile negli episodi precedenti né successivi – ci si aspettava molto di più dal Rick Rosenthal del 2008. Il massacro in sala operatoria è visivamente riuscito ed uno dei momenti cult del film insieme ai lenti e inesorabili e inquietanti inseguimenti di Michael in corridoi lunghi e bui dagli azzeccati tagli di luce. Lo stesso vale per alcuni personaggi come il dottor Wynn, vecchio amico di Loomis, e la signora Blankenship, inquietante retaggio di quella vecchia notte del 31 ottobre del 1963 – dice di essere stata la babysitter del piccolo Michael – sono interessanti e ben riusciti. Altri invece, come Tommy Doyle, il ragazzino a cui Laurie Strode faceva da babysitter nel 1978 e oggi trent’enne inquieto e solitario, o i due giovani fornicatori, sono bolsi, sciatti e poco performativi. Fortuna vuole che c’è Donald Pleasence in uno de suoi ultimi film – l’attore britannico muore infatti il 2 febbraio del 1995, a riprese concluse – a garantire continuità con la saga e ad ammantare di mistica ossessione il solito horror anni Novanta visivamente piatto, edulcorato e sterile.

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